lunedì 15 gennaio 2018

PAPA FRANCESCO TORNA ALLA FINE DEL MONDO


di Livio Zanotti


Questo Papa ha scelto di vivere sulla strada e non si lascia spaventare dai TIR che lo sfiorano, vuol essere un profeta del nostro tempo, i riti curiali gli appaiono fuori moda. Fa uso accorto e tenace della diplomazia, conosce l’arte del compromesso; ma al momento opportuno, sale su un aereo e va a mettersi nella realtà sfilacciata e contraddittoria della storia così com’è, allo scoperto: tra un vescovo sospettato di complicità pedofile e gesti di teppismo anti-cattolico in piena Santiago del Cile. Né starà più tranquillo in Perù, la seconda tappa del suo ventiduesimo viaggio.

Se una parte degli Araucani cileni lo indica come l’erede di quella croce brandita 5 secoli fa dai Conquistadores insieme alla spada che recise i loro diritti di persone, oltre che di popoli originari, Francesco sceglie di rivolgersi a loro per primi. E non li attende nei palazzi dei fasti urbani, sedi tradizionali del potere ancora ben presidiati: va a incontrarli sull’estreme terre australi dei loro avi, che essi ormai rivendicano anche alla stessa Chiesa di Roma con ondate di carte bollate e non senza qualche misteriosa fucilata notturna.

Papa Francesco con gli IndiosFrancesco torna così da evangelizzatore alla fine del mondo (da cui scherzosamente ma non tanto ha detto di venire, appena eletto Papa). Dal Cile al Perù s’infila per una settimana ad occhi ben aperti in un tunnel di problemi spirituali e soprattutto sociali, in cui negli ultimi anni si sono smarriti non pochi politici già prestigiosi, governi e partiti che girano ormai su se stessi senza riuscire a ritrovare un’utile direzione di marcia. La socialista Bachelet lascia in eredità al neo-eletto presidente conservatore Piñera il nuovo Ministero per i popoli originari (e i suoi roventi problemi).

Il continente latinoamericano rimane del resto il più cattolico del mondo, ma il primato appare vistosamente insidiato da quattro decenni di scomode verità ignorate o nascoste dalla gerarchia, scandali, crisi delle vocazioni, penetrazione delle chiese evangeliche e delle sette fondamentaliste. Nel 1995, secondo l’autorevole agenzia Latinobarometro si definiva cattolico l’80 per cento dei latinoamericani, oggi soltanto il 59. In Cile, sono al 45 per cento: il paese non è più a maggioranza cattolica.

Accelerata dall’uso crescente di tecnologie avanzate, l’instabilità sociale ed economica ripercuote sulla fede religiosa e alimenta un processo di secolarizzazione che in parte (ma solo in piccola parte) coincide con la conquista di nuovi diritti, a lungo negati: i deputati cileni stanno discutendo proprio in questi giorni la legge sull’identità di genere. L’umanesimo universale di Francesco eviterà di affrontare direttamente il tema, quanto meno in pubblico. Ma nessuno può assicurargli che resterà al riparo dalle polemiche.


Severe e solo a prima vista meno scomode, saranno per lui e il Cardinale Segretario di Stato che l’accompagna, Pietro Parolin, quelle che troverà in Perù. L’indulto concesso dal presidente Pedro Pablo Kuczynski all’ex dittatore genocida Alberto Fujimori, condannato all’ergastolo, hanno scatenato manifestazioni di strada contrapposte nel centro della capitale, Lima, e nelle maggiori città del paese. A stringere un nodo alla gola del Perù è il partito della famiglia Fujimori, che con due dei figli alla testa, Keiko, la preferita, e Kenji, il maschio simbolo della tradizione giapponese, controllano la maggioranza del Congresso.

Questa è una saga shakespeariana in cui genialità e delitto tessono una vicenda internazionale che da trent’anni tiene in scacco le istituzioni democratiche del Perù. Passa attraverso scommesse geopolitiche a cui non si sono sottratti diversi governi di Tokio, parzialmente contrastati dai servizi segreti israeliani e infine interrotti solo dall’intervento degli Stati Uniti. Ma ora tutti tornano in gioco, alla presenza di Papa Francesco. Perché coinvolto nelle corruzioni sistematiche dell’impresa brasiliana Odebrecht e a rischio di impeachment, il presidente Kuczynski non ha saputo respingere il ricatto dei Fujimori. Il peruviano Mario Vargas Llosa, Nobel di Letteratura, ne sta scrivendo una storia.

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