Alejandro Werner
di Livio Zanotti
(corrispondente della RAI per il Sud America)
Le esigenze dei creditori prevalgono sulle necessità dei debitori: cambiano i tempi, ma non il primo dei criteri che regolano i rapporti tra chi dà e chi riceve, pur pagando gli interessi pattuiti. Con tutto il garbo richiesto dal protocollo e dalla cordialità del rapporto personale (il colloquio è avvenuto alle Nazioni Unite, poco prima che il capo di Stato argentino intervenisse all’Assemblea Generale), Mauricio Macri se l’è sentito ricordare da Christine Lagarde, presidente del Fondo Monetario Internazionale (FMI). E’ stata la premessa alla disponibilità ad aggiungere altri 5mila milioni di dollari ai 50mila già concessi tre mesi addietro al paese sudamericano con la formula stand-by (cioè a disponibilità rateizzata).
E’ questo il contesto in cui Luis Caputo, fino a tre mesi addietro titolare del ministero delle Finanze, che ha lasciato per assumere la responsabilità della Banca Centrale, si è d’improvviso dimesso. Immediatamente sostituito da un suo vice. Aveva appena compiuto i suoi primi cento giorni. Sufficienti però a sommare una varietà d’interventi che hanno infine suscitato l’animosa contrarietà di Alejandro Werner, il prestigioso economista messicano alla guida dell’ufficio dell’FMI delegato all’America Latina, il Western Department, in passato affidato a funzionari italiani. Lagarde ha spiegato che Caputo aveva speso troppi milioni di dollari per difendere la moneta nazionale argentina, il peso: troppi e con criteri troppo disordinati.
La signora Lagarde aveva già anticipato le sue critiche al Financial Times: auspichiamo che la politica monetaria argentina sia improntata a “chiarezza, trasparenza e informazione appropriata agli operatori finanziari”. In breve: coerente, ordinata e corretta. Roberto Cardarelli, l’ispettore del Fondo incaricato di seguire l’Argentina, ha espresso i medesimi concetti a Buenos Aires. Stamane il Wall Street Journal fa presente che negli ambienti finanziari di New York la rinuncia di Caputo è stata accolta come una perdita di credibilità dell’Argentina. Ma tra restrizioni imposte dal Fondo, variabilità dei tassi d’interesse determinata dalla congiuntura internazionale ed emorragia di riserve nel tentativo di fermare svalutazione del peso e inflazione, le alternative erano poche.
Ad apparire inadeguato è il progetto economico, fondato sull’export agricolo e un ambizioso seppur necessario ammodernamento delle infrastrutture. Concepito con l’idea di attrarre investimenti interni e dall’estero, ma subito spinto alla deriva dall’aumento del tasso d’interesse sul dollaro e dalla politica autarchica di Trump. Senza che sia mai apparsa molta preoccupazione per l’occupazione e il mercato di consumo interno, con piccola e media impresa prive di credito e progressivamente affogate nell’inflazione. Tutte emergenze fronteggiate con un indebitamento crescente, ancora oggi indirizzato a consentire la rielezione di Mauricio Macri tra un anno, più che al superamento strutturale di una crisi su cui le bufere imperversano con sempre maggiore frequenza.
Nessun commento:
Posta un commento