mercoledì 8 gennaio 2020

LA FRAMMENTAZIONE NELL’ “ASSE DELLA RESISTENZA” HA CAUSATO LA MORTE DI SOLEIMANI

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Di Elijah J. Magnier: @ejmalrai

Tradotto da Alice Censi

FONTE: Middle East Politics

Non è stata la decisione degli Stati Uniti di lanciare i missili contro il brigadiere generale dell’IRGC Qassem Soleimani a  uccidere lui e i suoi accompagnatori a Baghdad. E’ ovvio che l’ordine di sparare questi missili (da due droni) che avrebbero distrutto le due macchine su cui viaggiavano Sardar Soleimani e il comandante iracheno di Hashd al-Shaabi Jamal Jaafar al-Tamimi, cioè Abu Mahdi al-Muhandes, e bruciato i loro corpi all’interno del veicolo, arrivava dal centro di comando e controllo degli Stati Uniti. Ma il motivo per cui il presidente Trump ha preso questa decisione è in realtà da attribuire alla debolezza dell’ “Asse della Resistenza” il cui livello di efficienza oggi è decisamente inferiore a quello che l’Iran pensava avesse raggiunto dopo decenni passati a cercare di rafforzarla.

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Un buon amico di Qassem Soleimani che ha parlato con lui qualche ora prima che si imbarcasse sull’aereo che l’avrebbe portato da Damasco a Baghdad mi diceva: “ Un uomo nobile è morto. La Palestina più di tutti ha perso un faro, Hajj Qassem (Soleimani). Lui era il “Re” dell’Asse della Resistenza e il suo leader. E’ stato assassinato ed è quello a cui ambiva, il Martirio. Ma l’Asse continuerà a vivere e non morirà. Senza dubbio l’Asse della Resistenza deve rivedere la sua politica e rigenerarsi correggendo gli errori di percorso. Di questi errori si lamentava Hajj Qassim nelle ultime ore prima di morire, intenzionato a lavorarci sopra con nuove strategie”.

Gli Stati Uniti uccidendo il generale maggiore Soleimani hanno colpito al cuore l’Iran e il suo l’orgoglio. Ma l’ “Asse della Resistenza” l’aveva già ucciso prima. Ecco come:

Quando il primo ministro Benjamin Netanyahu assassinava il vice capo del Consiglio Militare (consiglio su cui si centra l’Hezbollah libanese, capeggiato dal suo segretario generale, Hassan Nasrallah), Hajj Imad Mughniyah a Damasco in Siria, Hezbollah non lo vendicava, e non lo ha mai fatto.

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Quando Trump regalava a Netanyahu Gerusalemme dichiarandola “capitale di Israele”, l’ unica iniziativa che l’”Asse della Resistenza” prendeva era quella di organizzare convegni e conferenze televisive in cui dichiarava verbalmente di rifiutare la decisione.

Quando il presidente Trump riconosceva la sovranità israeliana sulle alture occupate del Golan e l’ “Asse della Resistenza” non reagiva, sia lui che la sua squadra capivano che non esisteva una vera e propria opposizione. L’inerzia dell’asse non poteva che incoraggiare Trump a fare tutto ciò che avrebbe voluto.

E quando Israele bombardava centinaia di obbiettivi siriani e iraniani in Siria l’”Asse della Resistenza” non ha mai risposto, giustificando il suo comportamento con la solita vecchia frase : “ non vogliamo che il nemico ci trascini in uno scontro di cui decide lui i tempi “ come mi diceva una figura importante all’interno dell’asse.

In Iraq, poco prima della sua morte, Il generale maggiore Soleimani si lamentava di come si fossero indebolite le componenti irachene all’interno dell’ “Asse”, rappresentate dall’alleanza Al-Bina (Costruzione) e da altri gruppi vicini a questa alleanza come Al-Hikma di Ammar al-Hakim e Haidar al-Abadi, una volta filo-iraniani ma diventati col tempo filo-americani.

In Iraq Soleimani era sempre paziente, non perdeva mai il controllo. Cercava sempre di rappacificare tutti, gli alleati e quelli che erano passati al campo nemico o che non erano d’accordo con lui. Di solito abbracciava quelli che lo contestavano per cercare di allentare la tensione e far continuare così il dialogo evitando che gli incontri finissero con un niente di fatto. Chiunque alzasse la voce in una discussione veniva calmato proprio da Soleimani.

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Hajj Qassem Soleimani non era riuscito a mettere d’accordo  coloro che venivano considerati come alleati, all’interno della stessa coalizione, sul nome del nuovo primo ministro. Chiedeva ai leader iracheni di scegliere dei nomi e li passava in rassegna informandosi su quanto potessero essere accettati o meno dai gruppi politici, dal Marjaiya, dai dimostranti nelle strade e se non fossero sgraditi agli Stati Uniti o visti come una provocazione nei loro confronti. Malgrado i rapporti tesi con gli Stati Uniti, Soleimani sosteneva che la persona scelta non avrebbe dovuto essere qualcuno boicottato da loro. Soleimani era convinto che gli Stati Uniti avrebbero potuto arrecare danni  all’Iraq e capiva quindi l’importanza di avere con loro delle buone relazioni proprio per salvaguardare la stabilità del paese.

Il grande disaccordo esistente tra gli sciiti dell’Iraq indignava Soleimani, più che mai convinto che l’”Asse della Resistenza”, che lui vedeva vacillare, avesse  bisogno di un’impostazione diversa. Nelle ore precedenti la sua morte il generale Soleimani rifletteva appunto su quanta rivalità ci fosse  tra gli iracheni appartenenti allo stesso schieramento.

Quando le proteste iniziarono a rivolgersi contro il governo, quelli che si opponevano all’egemonia americana si divisero  proprio perché in quel momento dirigevano il paese . A peggiorare le cose ci pensò poi  Moqtada al-Sadr che cominciò a scagliare le sue frecce proprio contro i suoi alleati come se le manifestazioni non fossero dirette contro di lui, il politico con il numero più alto di deputati, ministri e funzionari statali che era stato al governo per più di dieci anni.

Il generale maggiore Soleimani rimproverava Moqtada al-Sadr per i suoi atteggiamenti che creavano solo ed esclusivamente scompiglio dato che il leader sadrista non era in grado di offrire nessuna alternativa se non il caos. Moqtada nelle strade ha i suoi uomini, i temuti membri di Saraya al-Salam.

Quando il segretario alla difesa degli Stati Uniti Mark Esper chiamò il primo ministro Adel Abdel Mahdi il 28 dicembre per informarlo dell’intenzione di colpire le forze di sicurezza in Iraq, PMU ( Unità di Mobilitazione Popolare) incluse, Soleimani fu veramente deluso dall’incapacità del primo ministro di opporsi alla decisione di Esper. L’unica cosa che Abdul-Mahdi riusciva a dire a Esper era che considerava questa azione pericolosa. Soleimani sapeva che se Abdul-Mahdi avesse avuto il coraggio di opporsi alla decisione americana gli Stati Uniti non avrebbero colpito l’Iraq. Nelle aree colpite, iracheni e iraniani insieme tenevano sotto controllo i movimenti dell’ISIS al confine tra Iraq e Siria. Gli Stati Uniti avrebbero annullato la loro operazione se il primo ministro iracheno li avesse minacciati di rispondere ad un bombardamento delle sue forze militari. In fin dei conti gli Stati Uniti non avevano nessun diritto di attaccare  niente e nessuno in Iraq senza l’assenso del governo del paese. In quel momento l’Iraq perdeva la sua  sovranità e gli Stati Uniti prendevano il controllo del paese.

E’ proprio il controllo degli Stati Uniti sull’Iraq uno dei motivi per cui il presidente Trump ha dato il via all’operazione per uccidere il generale maggiore Soleimani. L’Iraq mostrava la sua debolezza e inoltre era necessario che non venisse scelto un leader forte con il coraggio di opporsi all’arroganza degli Stati Uniti e alla loro condotta illegale.

L’Iran non ha mai controllato l’Iraq come invece sostengono e immaginano, erroneamente, molti analisti. Per anni gli Stati Uniti si sono dati un gran daffare nei corridoi delle élite politiche irachene inseguendo i loro interessi. Il più attivo era l’inviato del presidente Brett McGurk che aveva capito molto bene come fosse difficile muoversi appunto in questi corridoi per trovare un primo ministro, prima che fossero nominati Adel Abdel Mahdi, il presidente Barham Saleh e altri governi in passato. Entrambi, Soleimani e McGurk conoscevano bene queste difficoltà. Entrambi avevano chiaro quanto fosse paludoso il sistema politico iracheno.

Soleimani non ha mai dato l’ordine di lanciare dei missili contro le basi degli Stati Uniti o di attaccare la loro ambasciata. Se avesse potuto distruggere le loro basi con dei missili sofisticati o eliminare l’ambasciata senza avere ripercussioni non avrebbe avuto esitazioni. Ma gli iracheni hanno le loro idee, i loro metodi, il loro modus operandi nella scelta degli obbiettivi e dei  missili; non si sarebbero mai affidati a Soleimani per queste decisioni.


La presenza iraniana negli affari iracheni non è mai stata ben vista dal Marjaiya di Najaf anche se in alcune occasioni accettava di ricevere Soleimani. Si scontrarono a proposito della rielezione di Nuri al-Maliki, il candidato preferito da Soleimani, e il Marjaiya scrisse una lettera in cui rendeva esplicito il suo rifiuto di al-Maliki. Così si arrivò ad Abadi come candidato a primo ministro.

Le idee di Soleimani erano talmente opposte a quelle del Marjaiya che quest’ultimo dovette scrivere un messaggio chiaro in cui rifiutava la rielezione di Nuri al-Maliki nonostante l’insistenza di Soleimani.

Tutto ciò avveniva dopo il 2011, l’anno in cui il presidente Obama ritirò le truppe statunitensi dall’Iraq. Prima di allora Abu Mahdi al-Muhandes era il collegamento tra l’Iran e l’Iraq: aveva potere decisionale, la visione della situazione, l’appoggio di vari gruppi ed era a tutti gli effetti il rappresentante di Soleimani che non interferiva nei dettagli. I gruppi iracheni si incontravano spesso con Soleimani in Iran; Soleimani raramente si recava in Iraq quando c’era nel paese una forte presenza militare americana.

Sebbene fosse il leader dell’”Asse della Resistenza”, Soleimani in alcuni circoli a volte veniva chiamato “il re” poiché il suo nome ricordava quello del re Salomone. Secondo le fonti nell’”Asse della Resistenza”, lui non ha mai dettato la sua politica ma ha sempre lasciato un margine di manovra e la facoltà di decidere a tutti i leader dell’asse, nessuno escluso. Veniva identificato come il collegamento tra l’asse e il leader supremo Sayyed Ali Khamenei. Soleimani era in grado di contattare Sayyed Khamenei a qualunque ora e in modo diretto, senza mediazioni. Il leader della rivoluzione considerava Soleimani come un figlio.

Secondo fonti in Siria, Soleimani “ non ha mai avuto esitazioni a salire su un camion, a guidare una macchina qualsiasi, a salire sul primo elicottero, a viaggiare su un aereo cargo se necessario. Non prendeva precauzioni per la sua sicurezza ma usava il telefono (chiamato l’amico spia) liberamente pensando che se fosse stata presa la decisione di assassinarlo lui avrebbe seguito il suo destino. Lui ambiva a diventare un martire perché diceva di aver già vissuto a lungo”.

Ma il leader dell’ “Asse della Resistenza” la dirigeva e la gestiva?

Sayyed Ali Khamenei diceva a Sayyed Hassan Nasrallah “ tu sei un arabo e gli arabi accettano te più dell’Iran”. Sayyed Nasrallah ha diretto l’asse in Libano, Siria e Yemen e ha avuto un ruolo importante in Iraq. Hajj Soleimani era il tramite tra l’asse della resistenza e l’Iran e colui che ne gestiva le finanze e la logistica. Secondo la mia fonte “lui era amico di tutti i leader e di tutti i responsabili nei vari ranghi. Era umile e si occupava di tutti quelli con cui aveva a che fare”.

L’ “Asse della Resistenza” ha permesso, indirettamente, che Soleimani venisse ucciso. Se Israele e gli Stati Uniti riuscissero a sapere dove si trova Sayyed Nasrallah non esiterebbero un attimo ad ucciderlo. Potrebbero pensare che la reazione si limiterebbe all’incendio di qualche bandiera e a qualche  manifestazione davanti ad un’ambasciata. Ma naturalmente questo genere di reazione non fermerebbe Trump che ambisce ad essere rieletto con l’appoggio di Israele e dell’opinione pubblica americana. Lui vuole presentarsi come un guerriero, un leader determinato che ama lottare e uccidere.

L’Iran per 40 anni ha fatto di tutto per costruire l’ “Asse della Resistenza”. Non può oggi tacere di fronte all’assassinio del suo leader. L’uscita degli Stati Uniti dall’Iraq insieme ad una condanna da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite potrebbero bastare? E questo, più il ritiro dall’accordo sul nucleare sarebbe sufficiente a vendicare il suo Generale? La battaglia che seguirà sarà solo in Iraq? Verrà usata da qualche   politico iracheno per vincere?

L’assassinio del suo leader mette alla prova ora come non mai l’ ” Asse della Resistenza”. Tutti, amici e nemici stanno aspettando la risposta.




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