di Vincenzo Brandi
10/11/2020
L’attentato di Vienna questa volta non era fatto da Arabi venuti dal mare. Il responsabile ucciso dalla Polizia austriaca era un cittadino austriaco – Kujtim “Timi” Fejzulaj - appartenente ad una famiglia albanese originaria della Macedonia. Il giovane terrorista – musulmano radicalizzato - aveva tentato di raggiungere la Siria per unirsi all’ISIS nella sua lotta contro il Governo laico di Assad, già aggredito dai paesi occidentali della NATO, dalla Turchia, e dalle monarchie arabe reazionarie. Arrestato dalla polizia turca e rimandato in Austria, aveva scontato solo 9 mesi di galera e poi rapidamente liberato. Benchè noto alla Polizia e alle autorità, aveva avuto tutto l’agio di procurarsi armi micidiali, come il fucile d’assalto AK 47 e la pistola Tokarev, e di frequentare gruppi radicalizzati come i cosiddetti Leoni dei Balcani. Intorno a questa organizzazione, che opera in Austria e Svizzera ed altri paesi, gravitano giovani albanesi di origine Kossovara, Bosniaci musulmani, persino Tagiki dell’Asia centrale. Certamente alcuni di questi hanno partecipato all’attentato e sono uccel di bosco.
La presenza in queste organizzazioni terroriste zeppe di cittadini di origine musulmana balcanica (Albanesi del Kossovo e della minoranza albanese della Macedonia, Bosniaci) non può non ricordarci i tristi avvenimenti del 1999 e degli anni seguenti, durante i quali i membri di un’organizzazione, inizialmente bollata come terrorista, l’UCK (fantomatico Esercito di Liberazione del Kossovo) ed i fondamentalisti bosniaci, infiltrati da Al Qaida sono stati utilizzati dall’Occidente per distruggere quello che restava della vecchia Jugoslavia, dove le varie etnie erano convissute in pace per 50 anni. Sono stati utilizzati anche per abbattere il Governo di Milosevic, eletto in regolari elezioni, reo solo di non allinearsi ai ricatti e gli ultimatum di USA, Germania, ed altri paesi occidentali della NATO. (1)
Oggi gli ex capi dell’UCK, come l’ex primo presidente del Kossovo Hashim Tachi e l’ex Primo Ministro Ramush Haradinaj, sono trascinati davanti al Tribunale Internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità (come una volta il loro ex grande nemico Milosevic, morto nelle prigioni dell’Aja in circostanze sospette). Evidentemente questi personaggi, una volta spacciati come “combattenti della libertà”, non servono più, ora che il Kossovo, ancora sotto occupazione della NATO, è diventato la più grande base militare USA in Europa, Mediterraneo e Balcani. Intanto i paesi balcanici sono diventati brodo di cultura del terrorismo, come già la Siria, l’Afghanistan, la Libia, ed altri sfortunati paesi in guerra, nel cui ambito possono essere sempre trovati “utili idioti” da utilizzare per gli scopi più loschi. Questa è la situazione.
(1) Milosevic di fatto stava per essere assolto. Gli avvoltoi della presstitute filoimperialista si attaccano coi loro artigli al fatto, ovvio, che la corte dell'Aja non è giunta a nessuna sentenza per via della morte dell'imputato. Quindi, per loro, non ci sarebbe nessuna assoluzione. Seguendo il loro ragionamento possiamo dire che non c'è nemmeno nessuna condanna. Ma non è necessario scimmiottare i marci ragionamenti della presstitute, perché questo è quanto scritto nero su bianco nella sentenza di condanna contro Radovan Karadzic:
“La Camera ha stabilito che non vi erano prove sufficienti presentate in questo caso, per stabilire che Slobodan Milosevic fosse parte di un progetto per scacciare i musulmani bosniaci e i croati bosniaci dal territorio serbo-bosniaco". Nel processo a Karadzic si è usato ogni e qualsiasi argomento e si è portata ogni e qualsiasi "prova" per arrivare alla condanna preventivamente richiesta dai vertici Nato (un'assoluzione sarebbe stata automaticamente una condanna dell'aggressione imperialista). Se dunque tra gli strumenti usati per condannare con ogni mezzo Karadzic non si sono trovate prove contro Milosevic è impensabile che si sarebbero trovate per il procedimento contro il presidente serbo.
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