mercoledì 9 dicembre 2020


di Alessandro Bianchi 

- Lantidiplomatico -

15 Maggio 2017

 Gianni Minà: “Si persegue la fine del governo Maduro, come in passato con Chavez”


Intervista a Gianni Minà. Oltre cinquant'anni di giornalismo con un'attenzione particolare ai diritti dei più deboli e a chi si ribella alle ingiustizie nel nuovo libro conversazione (con Giuseppe de Marzo) di Gianni Minà, un gigante di una professione che ha visto lentamente morire in occidente. Il titolo del libro è: “Cosi va il mondo, Conversazioni su potere, giornalismo e libertà”.  “Questa professione da noi è totalmente morta. Io sono da anni che lavoro poco o niente. Ma ho accettato la realtà e non mi lagno. È il prezzo che si paga per la libertà”.

La prima domanda è d'obbligo visto il titolo del libro: come va il mondo in questo fase?

Male, molto male. In questa fase sembra che tutto debba essere veloce. E mi fa ridere, ma anche arrabbiare. Cosa significa essere veloci? Ho conosciuto uomini che hanno dato all’umanità regali di saggezza, civiltà e scrittura senza paragoni e che non hanno mai tenuto in conto la velocità e il tempo. Per loro al centro c’era la riflessione. Così mi sento di affermare che nel mondo moderno spesso si utilizza la velocità come scusa. Un malinteso per truccare e neutralizzare quello che dici. Si tratta di un piano perfetto, un capolavoro che annulla il bisogno della censura tanto caro al potere. Da questo punto di vista le reti sociali compiono molte volte purtroppo un ruolo fondamentale e diventano conniventi.

Qual è stata la scintilla per scrivere questo libro?

Il Referendum di Renzi. La prepotenza di chi ha voluto legare i destini di un paese ad un aut aut sulla menzogna affermando che con la vittoria del NO non ci sarebbe stato un domani. Ma, del resto, è l’epoca dei colpi di Stato mascherati.

E dopo questa frase non possiamo non arrivare all’America Latina, alla tua America Latina…

Eh già. Honduras, Paraguay, Brasile e ora Venezuela. In America Latina si ripete con ancora più arroganza e violenza quella che è stata per anni la campagna contro Hugo Chávez. E poi quando è morto, al funerale c’erano 33 fra capi di stato o di governo e milioni di persone presenti. Milioni. Lo ripeto sempre perché è la prova visiva più grande che tutto quello che i media occidentali avevano raccontato dal 1999 sulla rivoluzione bolivariana era falso. Si sono accorti che non era un criminale come l’avevano dipinto. Chávez aveva perso una sola elezione in quindici anni e aveva ammesso la sconfitta subito il giorno dopo. Se penso al volto attuale degli Stati Uniti, Donald Trump, mi viene da ridere. Come mi viene da ridere a vedere certi giornalisti che prima lo descrivevano come il diavolo, e ora si sono già allineati quando hanno capito che avrebbe portato avanti, anzi insistito con la stessa politica bellicista praticata dagli Usa in Afghanistan, Iraq e Siria.

Adesso però  la situazione in Venezuela ha assunto un livello di scontro ulteriore…

Si persegue la fine del governo di Maduro. Così come in passato si puntava alla fine del governo di Chávez e si arrivò al golpe dell’aprile del 2002. Dopo le 43 vittime del 2014 che sono state responsabilità diretta per la quasi totalità della destra golpista e reazionaria (come testimonia il Comitato delle vittime delle Guarimbas) l’opposizione violenta è tornata a prendere in ostaggio il paese e sono tornati i morti in Venezuela. Si persegue l’antico obiettivo. Per essere chiari il fatto che non ci siano le multinazionali del petrolio Usa (o le sue alleate europee) a gestire le risorse venezuelane è uno scandalo per i padroni del mondo. E l’informazione compie il ruolo che ha già giocato nel paese nel 2002 e nel 2014: la ricerca del disordine, del caos organizzato da squadroni di mercenari armati specializzati, per esempio, nel boicottare rifornimenti di derrate alimentari, bevande e di ogni altro genere primario di sopravvivenza. Maduro, eletto con il 50,78% dei voti nel 2013, magari non ha le capacità politiche che aveva Chávez, ma certamente finora ha saputo resistere a questo scorretto assedio, smentendo le previsioni e rispettando la democrazia.

Alcuni anticorpi, però, l’America latina sembra averli costruiti: Papa Francesco, Mujica ed il Premio Nobel Esquivel hanno espresso, per esempio, prese di posizioni importanti e chiare a difesa del Venezuela…

Si in questi anni l’America Latina si è vaccinata. Gli anticorpi sono tanti. Ma che sia Almagro, un ex ministro di Mujica, il capo della sollevazione contro la sovranità del Venezuela in questo nuovo golpe è triste e ci spiega un altro pezzo importante del mondo attuale: si può comprare tutto. Così capisco l’amarezza di Mujica nella sua dichiarazione: “Almagro non è solo un pericolo per il Venezuela, è un pericolo per tutta l’America Latina”. E’ l’amarezza del mondo moderno. Tutto ha un prezzo e tutti possono affermare l’esatto contrario il giorno dopo.

A Cuba l’anno scorso hai realizzato un documentario sulla visita di Papa Francesco. Come hai trovato l’isola?

Si, il documentario si intitola “Papa Francesco, Cuba e Fidel” ed è andato in onda in occasione della scomparsa del Comandante unitamente all’ultima intervista che avevo fatto con lui. Devo dirti che in questi mesi mi hanno fatto proprio pena i soloni che si sono affrettati a scrivere affermando che il popolo cubano ha ceduto e che presto tornerà ad essere il parco giochi degli Stati Uniti. Non conoscono nulla di Cuba o sono in malafede. Un’isola dei Caraibi che ha resistito decenni si è seduta da pari a pari con la più grande potenza militare della storia. Un miracolo. Poi che dopo l’accordo, il bloqueo sia ancora in vigore, non spaventa certo il futuro di Cuba che resiste già da 55 anni. Nel mondo in cui viviamo, è fallito il capitalismo, è fallito il comunismo, ma Cuba è ancora lì.

Che insegnamento può trarre il Venezuela dalla storia del popolo cubano?

Resistere. Resistere alle ingiustizie del nostro tempo. Resistere ai piani delle oligarchie. Piani che sono banali e noti a tutti: privatizzazioni di massa, povertà diffusa, perdita di diritti, ricchezza per pochi. Il Venezuela deve resistere a tutto questo come ha fatto Cuba.

Quali obiettivi ti sei prefissato con quest'ultimo libro?

Tirare fuori da storie infami, italiane e internazionali, di ieri e di oggi, alcune verità ancora nascoste. Lo presenteremo il 19 maggio alla feria del libro a Torino insieme a Giuseppe de Marzo e con la testimonianza del giudice Felice Casson. Poi forse non ci crederanno lo stesso, ma iniziamo. Esiste una batteria di quelli che oggi vengono definiti “troll”, secondo me con origine negli Stati Uniti, che quando scrivi un articolo, magari smentendo le menzogne che vengono diffuse dai media, organizzano una campagna diffamatoria proprio contro di te. I periodi e le frasi utilizzate sono standard anche se gli argomenti sono diversi ed è incredibile. Personalmente l’ho potuto registrare quando in pochi anni ho scritto di Cuba, di Venezuela e… di Moggi. Quando ho toccato gli interessi di Moggi, ho sperimentato sulla mia pelle le stesse parole, le stesse offese che mi arrivavano per Cuba. Con le reti sociali tutto è più veloce e immediato. Sono Dei in terra ed è un golpe anche quello. L’opinione si forma attraverso il filtraggio di queste reti sociali. Per fortuna io resisto. Alle mie figlie cerco di installare il dubbio e loro mi ringraziano.

Infine, che eredità e quale messaggio speri di lasciare alle giovani generazioni attraverso questo libro?

Di non fidarsi mai di quello che gli viene dato per assodato, perché la verità assoluta non esiste. Esistono porzioni di verità che devi andare a cercare ogni volta e coltivare. Devi cercare e ricercare con sforzo e dedizione. Non è veloce, richiede tempo, lavoro e fatica. Ma poi trovi le prove e colleghi i pezzi. Perdi un mese magari, ma poi le trovi. Il male del mondo moderno è che oggi vince nella comunicazione chi è più veloce. E chi è più potente è anche più veloce.

Un caso emblematico spiega più di tutti il triste declino del mondo di oggi: un leader studentesco della sinistra venezuelana viene ucciso dopo aver annunciato l’adesione della sua sigla al processo costituente indetto dal presidente Maduro, ma per i media occidentali si tratta di “un nuovo caso della repressione della dittatura”. Era invece un delitto dell’opposizione di destra. Purtroppo siamo ormai oltre la mistificazione, siamo in un mondo virtuale. Mi dispiace molto che anche il Manifesto, che fino ad oggi sull’America Latina non aveva mai compiuto errori di questo tipo, ha dovuto fare la smentita ufficiale dopo aver rilanciato questa menzogna. L’ennesima del mondo di oggi.


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