venerdì 12 febbraio 2016

Israele / Palestina: È troppo tardi per la pace?




di Alan Hart
 12 febbraio 2016

Prima che io offra la mia risposta, facciamo qui un rapido esame di come le cose sono e sembrano andare.

* Il presidente Obama non ha intenzione di utilizzare la sua influenza che deve spingere o cercare di spingere Israele a porre fine alla sua sfida al diritto internazionale e alla negazione della giustizia per i palestinesi.

In passato ho nutrito qualche speranza che nel corso dell'ultimo anno del suo secondo mandato l’avrebbe fatto, e c'era abbastanza una buona ragione per un po’ di ottimismo da parte mia. Consisteva in quello che il presidente Jimmy Carter una volta mi disse. Spiegò che qualsiasi presidente ha solo due finestre di opportunità per prendere in carico la lobby sionista e i suoi tirapiedi (io preferisco chiamarli agenti traditori) nel Congresso.
La prima finestra sta nei primi nove mesi del suo primo mandato, perché dopo questo la raccolta di fondi per le elezioni di medio termine prende il via. (Nei suoi primi nove mesi Obama ha cercato e non è riuscito a ottenere un congelamento degli insediamenti).
La seconda finestra è l'ultimo anno del suo secondo mandato, se ne ha uno. (Il Presidente Carter ne ha avuto solo uno).
Perché Obama non ha nulla da perdere personalmente (eccetto forse la sua vita) Penso che non sia impossibile che gli piacerebbe affrontare la lobby sionista e quelli che mettono all’asta la sua offerta al Congresso, ma sa che così facendo ci sarebbero, quasi certamente, conseguenze disastrose per alcuni democratici che sono alla ricerca dell’elezione o della rielezione al Congresso. Quindi non lo farà.

* Non vi è alcuna ragione di credere che il successore di Obama o qualsiasi futuro presidente potrà mai avere la libertà e la volontà di mettere gli interessi americani al primo posto e fare tutto ciò che è necessario per cercare di obbligare Israele a fare la pace a condizioni che i palestinesi possano accettare.

Detto questo, ci potrebbe essere uno scenario di speranza se le regole fossero modificate per tener i grandi finanziamenti fuori del processo elettorale - per evitare che i sostenitori ricchi d'Israele, giusto o sbagliato, comprino coloro che cercano l’elezione o la rielezione al Congresso.
Ma è molto improbabile che accada. Il presidente Kennedy ha cercato più volte di introdurre
la legislazione per evitare che i donatori ricchi comprino pezzi di ciò che passa per la democrazia in America, ma ogni volta fu bloccato. (L'idea che l'America sia una democrazia maggiore del nome è ridicola come l'affermazione del sionismo che Israele è sempre vissuto nel pericolo di annientamento).

* Coloro che credono che la Francia, la Gran Bretagna, la Germania e le altre potenze europee un giorno saranno totalmente stufi del rifiuto degli Stati Uniti di chiamare il sionismo alla resa dei conti ed useranno la loro influenza per provare ad obbligare Israele ad essere sul serio e a fare la pace a condizioni che i palestinesi potrebbero accettare, sono colpevoli di un pio desiderio.

Quando si tratta di affrontare o no il mostro sionista, le potenze europee seguiranno solo gli ordini dell’America.

* I regimi arabi corrotti, autoritari e repressivi non si confronteranno mai col sionismo in modo significativo e/o useranno la loro influenza per spingere l’America ad agire così.

* I palestinesi occupati e oppressi non hanno un gruppo dirigente credibile.

Come Abdalhadi Alijla ha osservato in un recente articolo per openDemocracy, "La maggior parte dei palestinesi occupati e oppressi non hanno fiducia in Fatah, Hamas e nell'Autorità Palestinese (Palestine Authority) in generale."

Il suo articolo era intitolato "Pace" - un concetto privo di significato. E apriva con questa affermazione:

«Pace ora non ha alcun significato ed è stata screditata sia come concetto che come parola.» Ha aggiunto: “Dal momento che Netanyahu è salito al potere nel 1996, la pace è diventata una parola nauseante”.

* Il BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) il movimento sta prendendo slancio, e in parte è una manifestazione della crescente, marea globale di anti-israelismo che viene provocata dalle politiche e dalle azioni dello stato sionista, ma ... Senza l’ approvazione e la partecipazione dei governi, il BDS è più improbabile che sia un punto di svolta.

Tenendo conto di ciò che ho riassunto sopra, e che Israele sta rubando sempre più terra araba e acqua e che demolisce sempre più case arabe, la mia risposta alla mia domanda del titolo è sì. Voglio dire che come le cose sono e sembrano andare è troppo tardi per la pace basata sulla giustizia per i palestinesi e la sicurezza per tutti.
A mio avviso c'è un caso molto forte per dire che in realtà è stato troppo tardi sin dal novembre 1967, quando il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dominato dall’America si arrese al sionismo con la Risoluzione 242. Perché la Guerra dei Sei Giorni nel giugno dello stesso anno fu una guerra di aggressione israeliana e non auto-difesa, la 242 avrebbe dovuto richiedere a Israele di ritirarsi senza condizioni dai territori arabi di nuovo occupati; e avrebbe dovuto mettere sull'avviso Israele che sarebbe stato isolato e sanzionato se avesse colonizzato la nuova terra araba che aveva afferrato.
Anche se la 242 condannava a parole "l'inammissibilità dell'acquisizione di territori con la guerra", lasciava Israele totalmente libero di determinare, se si fosse ritirato, quanto territorio arabo appena occupato avrebbe lasciato. In altre parole, questa risoluzione infame, che non menziona neppure i palestinesi per nome, ha messo il sionismo al posto di guida per eventuali futuri negoziati.
Come stanno le cose e sembrano  andare, la realtà sul terreno in Palestina che divenne Israele e la complicità per inadempienza di tutte le grandi potenze (e i regimi arabi) nella colonizzazione israeliana in corso, significa che i palestinesi occupati e oppressi hanno due opzioni se la loro resistenza non sarà schiacciata da una finale pulizia etnica sionista.
Uno è quello di abbandonare la loro lotta per la giustizia e accettare le briciole che cadono dal tavolo del sionismo nella forma di bantustan sul 30-40 per cento della Cisgiordania, che potrebbero chiamare uno stato, se volessero, o fare le valigie e partire per iniziare una nuova vita altrove .
L'altro è quello di cercare di cambiare le dinamiche del conflitto insistendo affinché l’Autorità Palestinese sia
disciolta con piena e completa responsabilità per l'occupazione riconsegnata a Israele.
Come ho suggerito in articoli precedenti, questo imporrebbe significativi oneri finanziari e politici per la sicurezza su Israele. I capi israeliani risponderebbero con una repressione sempre più brutale che causerebbe una marea globale di crescente anti-israelismo .
E questo potrebbe essere sufficiente ad un certo punto per spingere i governi delle maggiori potenze (tra cui quello di Washington DC) a dirsi a porte chiuse qualcosa come questo: "Non è in uno qualsiasi dei nostri interessi far continuare a marcire questo conflitto perché alimenta simpatia e sostegno per la violenza dell'estremismo arabo musulmano in tutte le sue manifestazioni. Ora dobbiamo usare la nostra influenza per cercare di spingere Israele a porre fine alla sua sfida al diritto internazionale e a fare la pace seriamente a condizioni che i palestinesi possano accettare."
È, ovviamente, possibile che, anche se le dinamiche del conflitto potrebbero essere cambiate in questo modo, i dirigenti israeliani dotati di armi nucleari direbbero al mondo intero di andare all'inferno. Ma noi non sapremo con certezza come Israele risponderebbe a una vera pressione internazionale, a meno che non venga applicata.
Come Thomas Friedman ha osservato di recente sul New York Times, Avigdor Lieberman, l'ex ministro degli Esteri israeliano e aspirante premier, è un capo israeliano che è saldamente fermo sull'affermazione che non gli importa quello che il mondo pensa delle politiche e delle azioni di Israele.
Lo scorso dicembre presso la Brookings Saban Forum sul Medio Oriente gli è stata fatta una domanda provocatoria da Jeff Goldberg della rivista Atlantic:

"Le cose si stanno spostando radicalmente non solo nell’America non ebraica ma nell’America ebraica in quanto riguarda Israele e la sua reputazione. La mia domanda è: (A) ti importa? (B) Che cosa hai intenzione di fare al riguardo? E (C) quanto è importante per te? "

Lieberman ha risposto:

"Per parlare francamente, non mi interessa."

Israele, ha continuato a dire, ha vissuto in una zona pericolosa, e per dare più enfasi alla sua affermazione, ha aggiunto:

"Non mi interessa quello che gli ebrei e non ebrei americani pensano di Israele".

Quello che sto dicendo, in conclusione, si riduce a questo. Se gli occupati e oppressi palestinesi insistessero sullo scioglimento dell’Autorità Palestinese e consegnando di nuovo a Israele la completa
 responsabilità e completa gestione per l'occupazione, la risposta alla domanda del mio titolo potrebbe non essere sì.

(Traduzione di Diego Siragusa)

giovedì 11 febbraio 2016

ASSEDIO. SU ALEPPO LA FABBRICA DELLE BALLE




di Fulvio Scaglione

(Vicedirettore di Famiglia Cristiana)

assedio
L’assedio di Aleppo. Forse non lo sapevate ma in questi ultimi giorni, e solo in questi ultimi giorni, il mondo delle persone perbene, di coloro che hanno a cuore la libertà, è angosciato dall’assedio di Aleppo. Il che è un po’ curioso, perché Aleppo è sotto assedio da tre anni e mezzo. Guardate la cartina qui pubblicata: raffigura la situazione di Aleppo dal 2012 fino a un mese fa. Com’è facile notare, il verde circonda su tre lati il rosso. E il verde erano le forze dei ribelli. Che quindi per tre anni e mezzo hanno stretto la città in una morsa aperto solo verso Sud. Un assedio quasi perfetto.
Come hanno vissuto i siriani di Aleppo, quelli rimasti nei quartieri controllati dal Governo e dalle truppe di Assad? Le testimonianze non mancano. Bombe sulle scuole e sugli ospedali. Missili sui palazzi. Niente acqua. Niente elettricità. Pochissimo carburante, e a carissimo prezzo, per riscaldare le case d’inverno. Un sacco di morti civili, perché i missili cadevano dove cadevano. Insomma, le cose che succedono durante un assedio. Quando, nel 2014, lanciò l’appello “Salviamo Aleppo”, la Comunità di Sant’Egidio scrisse cose come questa: “La gente non può uscire dalla città accerchiata dall’opposizione, tra cui fondamentalisti intransigenti e sanguinari”. Oppure: “ C’è l’orribile ricatto dell’acqua che i gruppi jihadisti tolgono alla città. È una guerra terribile e la morte viene da ogni parte. Passando per tunnel sotterranei, si fanno esplodere  palazzi “nemici” “. E lo diceva Sant’Egidio, che non aveva mai lesinato le critiche anche verso Assad. Insomma, pochi dubbi: era un assedio.

Assedio o non assedio?

Riascoltiamo che cosa ha raccontato a Repubblica padre Rodrigo Miranda, cileno, missionario del Verbo Incarnato, parroco ad ALeppo dal 2011 al 2015: “”Era mezzogiorno, l’ora di punta, quando sono caduti i tre missili. L’università era piena e molte persone erano in strada. Quando è caduto il primo missile ho iniziato ad aiutare le persone che avevo davanti a me. Poi mentre stavo correndo verso l’università per aiutare gli altri, ho visto il secondo missile che arrivava. Ho cercato di rifugiarmi tra un muro e alcune auto. Ho sentito un rumore, uno strano silenzio, e poi il disastro. È stato un massacro”. Morirono centinaia di giovani, colpiti dai missili dei ribelli. Come spesso avviene quando si è sotto assedio.
Altre testimonianze, di quelle con nome e cognome e la foto, non quelle anonime (“mi dice il taxista”) che vanno di moda nei giornali, le ho raccolte per Famiglia Cristiana in un recente viaggio in Siria. Gli uomini e le donne morte perché colpite dai missili mentre andavano a raccogliere un po’ d’acqua dai camioncini che girano per distribuirla. La bomba, per fortuna inesplosa, sulla parrocchia mentre vengono celebrate le prime comunioni. I rapimenti. I cecchini. I morti. I feriti. Fino all’ultima voce, quella di fra Ibrahim Faltas, francescano, che si trova ad Aleppo il giorno in cui il quartiere cristiano è colpito da cinque missili a cui è agganciata una bombola di gas Gpl, per aumentare la forza esplosiva. Che dire? È un assedio.
A Natale fra Ibrahim Sabbagh, parroco della chiesa di San Francesco ad Aleppo, ancora mi diceva: “In pochi giorni sul solo quartiere di Khalidiya gli islamisti hanno sparato più di 500 razzi. Ci sono stati morti, feriti, case distrutte. Da trentacinque giorni siamo senz’acqua, l’elettricità va e viene, manca il riscaldamento. E quest’anno il freddo è arrivato anche prima del solito. Ero qui anche a Natale dell’anno scorso e devo ammettere che vedo crescere nei cuori l’amarezza, e la sofferenza farsi più profonda». Ma nessuno parlava di assedio.
E avanti così per tre anni e mezzo. Nel silenzio delle Merkel, dei Kerry e della quasi totalità dei politici di presunta buona volontà. E i profughi? È una pagina terribile, le colonne di gente disperata che muove verso la Turchia straziano l’anima. Ma non è una pagina inedita: dei 2 milioni di abitanti che aveva Aleppo prima della guerra, almeno la metà se n’è andata. Molti di loro verso Sud, verso Damasco, e magari di lì in Libano nella speranza di scappare poi anche più lontano, il più lontano possibile. Ma quei profughi, a quanto pare, colpivano meno, non facevano parlare di emergenza umanitaria come avviene adesso. D’altra parte, mica era un assedio, allora, quello di Aleppo.
I profughi di adesso scappano verso un confine, quello con la Turchia, che è improvvisamente diventato impenetrabile, a meno che l’Europa non molli altri miliardi a Erdogan e soci. Ma è impenetrabile solo per i profughi. Perché gli islamisti in fuga davanti a siriani, Hezbollah, iraniani e curdi, possono attraversarlo senza problemi.Così come per anni l’hanno attraversato in senso inverso i foreign fighters e i rifornimenti per i jihadisti che stringevano in una morsa Aleppo. Ma già, quello non era un assedio.

Padre Ibrahim Alsabagh da Aleppo: «Siamo tribolati ma non schiacciati»


La Madonna di Aleppo distrutta dai bombardamenti. 

di Padre Ibrahim Alsabagh

Aleppo, 7 febbraio 2016


I bombardamenti
Cari amici, provo a raccontare quello che stiamo vivendo ad Aleppo da quando è cominciata l’offensiva dell’esercito per riprendere la città. Nella notte tra il 3 e il 4 febbraio, due missili lanciati dagli jihadisti hanno colpito la zona di Soulaymanieh-Ram, dove è collocata la nostra succursale. Avevo pensato di radunare i Frati, in un Capitolo locale pastorale, per vedere come potevamo intensificare il servizio svolto nella zona di Soulaymanieh e di Midaan, quando ci ha raggiunto la notizia dell’accaduto. Il risultato dei bombardamenti, incessanti, è sempre lo stesso: morte e distruzione di case. Due cristiani sono rimasti uccisi; diversi feriti e diverse case danneggiate. Siamo scoraggiati, perché avevamo appena finito di riparare i danni dei missili caduti il 12 aprile 2015, quando sono arrivati queste nuove bombe, distruggendo nuovamente quello che abbiamo appena riparato. La nostra chiesa non è stata per ora danneggiata, ma il tetto delle aule di catechismo è stato colpito e parzialmente distrutto, le pareti sono state danneggiate dalle scosse e dalle esplosioni e così i vetri, che sono andati in frantumi. Il missile che è caduto direttamente sulla succursale ha forato il tetto, colpendo la statua della Madonna, il campanile e alcuni depositi di acqua, nuovamente installati. La statua della Madonna è stata ridotta in mille pezzi e potete immaginare il nostro dolore: il volto della Vergine in frantumi in mezzo alla strada, oltraggiato. Mentre l’altro missile è caduto per la strada, danneggiando l’entrata della succursale e ammazzando due uomini cristiani, senza risparmiare gli edifici che, nel passato, sono stati colpiti da diversi missili e bombe. Noi frati siamo subito andati a visitare le case negli edifici vicini alla nostra succursale, dove i due uomini sono stati colpiti e uccisi e abbiamo ascoltato l’esperienza dolorosa delle mamme e dei padri di famiglie che ci raccontavano dell’accaduto e di come hanno vissuto, insieme ai loro figli, il terrore e lo spavento. Stiamo cercando di stare vicini alla nostra gente, che bussa alla nostra porta cercando aiuto. La nostra succursale infatti accoglie le famiglie della zona, ma anche quelle di Midaan (che hanno cercato riparo dopo che la chiesa di Bicharat a Midaan è stata distrutta). Ospitiamo anche la Comunità cristiana maronita che celebra da noi diverse Messe settimanali, dopo la distruzione delle sue chiese nelle zone vicine. È il luogo dove diversi gruppi parrocchiali si ritrovano per i loro raduni settimanali e dove trova spazio anche una scuola per i sordo-muti: uno dei pochissimi centri di questo genere rimasti attivi oggi ad Aleppo. Oltre all’accoglienza e al servizio umano e spirituale menzionato, si distribuisce l’acqua alla gente, dal pozzo che abbiamo dentro la medesima succursale.

Il quartiere cristiano di Midaan
I lanci di missili da parte dei gruppi jiahdisti, come risposta all’avanzata delle forze governative e dei loro alleati, è continuata anche la notte tra il 4 e il 5 febbraio. Ancora una volta, siamo stati colpiti al cuore. Le esplosioni hanno interessato il quartiere di Midaan, la zona a maggioranza cristiana. La distruzione è stata totale: i poveri abitanti rimasti sono nuovamente senza casa. Provate a immaginare cosa voglia dire per noi stare qui mentre di notte cadono i missili. Senza sapere cosa accadrà. Un’anziana signora piangeva raccontando che la gente non sapeva come comportarsi, quale decisione prendere: uscire dalle case per scappare con il pericolo di incontrare “sorella morte” per la strada o rimanere nelle abitazioni rintanati, con il pericolo che i missili le distruggano? Alcune famiglie hanno deciso di dormire al freddo all’entrata delle loro abitazioni, altri sotto le scale Una signora che ha bussato la nostra porta chiedendo aiuto, mentre portava in braccio il suo bambino, e mi ha raccontato che c’erano delle persone che sono rimaste sotto le macerie. Alle sue grida di soccorso, con l’intenzione che venisse qualcuno ad aiutare quella povera gente, nessuno aveva il coraggio di rispondere. I feriti sono rimasti lì, e così anche i cadaveri, per ore e ore.

Perché rimaniamo.
Noi però non ci arrendiamo. Siamo tribolati ma non schiacciati. Alle case danneggiate che abbiamo visitato, insieme con l’ingegnere, abbiamo distribuito subito scatole di alimentari di emergenza e abbiamo iniziato a riparare, cominciando dalle porte e le finestre. Per chi ha avuto la casa tutta danneggiata, abbiamo aiutato con i soldi per prendere case in affitto per tre mesi, con la possibilità di rinnovare il pagamento. In tantissimi bussano alla nostra porta terrorizzati, soprattutto le famiglie con i bambini piccoli.  La maggior parte di loro non ce la fa a pensare di fuggire: non hanno neanche un soldino per il trasporto. Per me, in questa situazione, non restano che l’accoglienza e l’ascolto. Dopodiché, bisogna passare subito all’azione: non si può rimandare all’indomani. Il lavoro però è immenso e così anche le necessità.

Acqua e prezzi proibitivi
Rimane il problema grandissimo dell’acqua: mentre i missili cadevano, era impressionante vedere la gente aggirarsi cercando l’acqua. Le persone sono disperate e sfidano i missili e la pioggia, pur di attingere acqua dai rubinetti installati lungo la strada, dove ci sono i pozzi. Ormai, è da più di dieci giorni che siamo senza acqua. Il dollaro arriva a 410 l.s. oggi, mentre ieri aveva il prezzo di 400. Questo vuole dire che i prezzi di alimentari s’è alzato da un giorno all’altro, anche quello delle cose più leggere e più semplici di verdura.. Una signora racconta che ormai le entrate mensili, per lei che ha ancora un lavoro e un’entrata fissa mensile, non permette oggi di comprare un piatto di verdura giornaliero per tutto il mese.

“Fino a quando, Signore, ti scorderai di me?” (cf. Sal 12)
Dentro il dolore di questi giorni, mi torna alla mente il Salmo che dice: “Fino a quando Signore ti scorderai di me?”. La domanda a volte affiora:  il Signore ci ha abbandonato? Ma dove è il Signore? È un momento dove la fede viene scossa fortemente dalle sue radici per tutto il “piccolo gregge” che è rimasto ancora ad Aleppo. A Saul, il Risorto l’aveva chiesto: “Perché mi perseguiti?”, lasciando una conferma sicura della Sua unione con le membra del Suo Corpo mistico. Egli è presente; sofferente e appeso sulla croce e non “guarda da lontano mentre i Suoi soffrono”. Egli è presente in mezzo al Suo popolo; lo aiuta e lo assiste attraverso la tenerezza misericordiosa dei suoi pastori; anche se sono molto affaticati e amareggiati al vedere cosa succede al loro gregge. Così è per noi, frati francescani. E per questo rimaniamo qui.

(Fonte: Giornale del Popolo)

La guerra psicologica degli Stati Uniti contro la Russia




09 Febbraio 2016 

di Maria Bezciastnaya


da “Svobodnaja Pressa” (SP), 7 febbraio 2016

Traduzione dal russo di Mauro Gemma

Continuiamo la nostra rassegna di opinioni di analisti russi sulle principali questioni di politica internazionale. In questo caso alcuni di loro analizzano le caratteristiche della nuova ondata di guerra psicologica imperialista contro la Russia, scatenata soprattutto allo scopo di giustificare il blocco delle trattative ginevrine per una soluzione negoziata del conflitto.

L'Occidente vuole interrompere a ogni costo la riuscita offensiva delle forze russo-siriane

Il Segretario di Stato USA John Kerry ha accusato le forze aeree russe, che stanno conducendo l'operazione militare in Siria, dell'uccisione di donne e bambini. Secondo Kerry, gli americani sono in possesso di “prove convincenti” che l'aviazione russa utilizza bombe sprovviste di sistemi di precisione di guida, che provocano vittime tra i civili.

“Le bombe sono cadute su ospedali, in quartieri civili. E ci sono stati casi, in cui mentre i soccorritori cercavano di raccogliere i feriti dopo i bombardamenti, i bombardieri sono ritornati e li hanno bersagliati. Questo deve finire! Non c'è ombra di dubbio”, così la CNN riprende la patetica dichiarazione di Kerry.

Come di consueto, oltre al pathos delle sue parole, Kerry non ha presentato alcuna prova delle sue affermazioni. Allo stesso tempo, organizzazioni internazionali, come la “Croce Rossa” e “Medici senza frontiere” non confermano le parole del Segretario di Stato. Ma è possibile ricordare che in ottobre 2015 le forze americane avevano attaccato un ospedale di “medici senza frontiere” in Afghanistan, e allora di prove ce ne furono a sufficienza. Ma i militari si sono scusati, e l'incidente è stato chiuso. Il portavoce del Ministero della Difesa della Federazione Russa Igor Konashenkov ha dichiarato che, nonostante le dichiarazioni dei politici occidentali, non si sono registrate perdite tra la popolazione civile in Siria e nessuna prova concreta è stata presentata.

“Voglio richiamare la vostra attenzione sul fatto che i colpi assestati dalla nostra aviazione in Siria hanno come obiettivo i terroristi, ma solo dopo avere raccolto da diversi canali le opportune informazioni. In caso di rischio per la vita dei civili colpi di questo tipo non vengono assestati”,ha dichiarato Konashenkov.

Nonostante ciò, negli ultimi tempi le accuse alle forze aeree russe di avere provocato la morte di civili si sono intensificate. Oltre a Kerry il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha dichiarato che l'operazione russa “mina gli sforzi per trovare una soluzione politica al conflitto”. Con lo stesso spirito si esprime il capo del Pentagono Ashton Carter, che contemporaneamente ha accolto con favore la notizia che l'Arabia Saudita e la Turchia stanno discutendo sulla attuazione di un'operazione di terra nella repubblica. Inoltre, anche gli europei hanno sostenuto l'iniziativa, e il governo della Germania ha attribuito alla Russia la responsabilità di procedere unilateralmente al cessate il fuoco. Non è difficile individuare il legame tra le gravi accuse e i successi che l'esercito siriano con il sostegno delle forze aeree russe sta ottenendo ultimamente. Ricordiamo che questa settimana le forze governative, con il sostegno del gruppo “Hezbollah”, sono state in grado di rompere il blocco di quasi tre anni delle città sciite di Noubel e al-Zahra, nei pressi di Aleppo, insieme a una serie di altri centri abitati.

Sullo sfondo di questi successi sono stati anche sospesi i negoziati per un regolamento sulla Siria a Ginevra. Il successo delle operazioni dell'esercito siriano, hanno presumibilmente prodotto un cambiamento nella situazione. John Kerry nel suo discorso ha anche detto che le azioni della Russia violano la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU per un cessate il fuoco in Siria e ha chiesto la cessazione delle operazioni. “I russi avevano proposto alcune iniziative costruttive riguardanti la possibilità di cessare il fuoco in Siria. Ma se queste sono solo parole che si aggiungono a parole, allo scopo di continuare i bombardamenti, non si arriverà a nulla”, - ha dichiarato.

Allo stesso tempo, il rappresentante permanente della Russia all'ONU, Vitaly Churkin, il giorno prima aveva dichiarato che la Russia non può interrompere unilateralmente la propria operazione. “E i gruppi dell'opposizione? Anche loro si fermerebbero? E che cosa intende fare la coalizione guidata dagli Stati Uniti? Anch'essa si fermerebbe?” - ha chiesto il rappresentante russo.

“Credo che nessuna prova concreta sia emersa dalla dichiarazione di Kerry, - ritiene il professore della cattedra di Politica russa della facoltà di politologia dell'Università Statale di Mosca (MGU), Dottore in Scienze Politiche Andrey Manoylo. Il carattere stesso delle parole non fornisce alcuna prova concreta, Si tratta della solita dichiarazione, che non viene rilasciata per permettere la presenza di esperti e giuristi che possano confermarla”.

SP: Perché queste accuse sono avanzate solo ora?

“E' evidente che ciò è collegato con i negoziati in corso a Ginevra tra i membri dei diversi gruppi della cosiddetta opposizione siriana moderata da un lato, e i rappresentanti del regime di Bashar al-Assad, dall'altro. Ora si sta cercando di trovare un terreno comune di intesa per la formazione di un governo di coalizione, come previsto dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. I colloqui sono condotti sotto la guida e la mediazione del rappresentante del segretario generale dell'ONU Staffan de Mistura. Tutte le ultime dichiarazioni dei politici, che prendono parte al processo di regolamento in Siria, sono collegate all'esito di questi negoziati, che si trovano nella fase iniziale.

Mentre la posizione del regime di Assad emerge chiaramente – è stato tra i primi a concordare la formazione della delegazione e a mandarla a Ginevra - da parte dell'opposizione siriana vediamo confusione e indecisione. Sembrerebbe che tutti vogliano partecipare alla realizzazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Ma a giudicare dalle dichiarazioni, che vengono periodicamente rilasciate, e anche per il fatto che non è ancora chiaro chi esattamente debba rappresentare gli interessi dell'opposizione a Ginevra, le divergenze tra i diversi gruppi sembrano maggiori di quelle dell'opposizione nel suo complesso e Bashar al-Assad.

Contemporaneamente a questo processo prosegue la riuscita offensiva dell'esercito siriano in un certo numero di regioni, sono delineati nuovi confini, Gli islamisti sono allontanati da centri abitati, in cui avevano dominato praticamente per quattro anni. Inoltre, recentemente l'esercito siriano ha lanciato un'offensiva nella provincia di Aleppo vicino al confine siriano-turco. Il compito dei siriani consiste nell'assumerne il controllo e tagliare le linee di rifornimento per i gruppi combattenti, che ora controllano una parte significativa di Aleppo. Sena rifornimenti questi gruppi non resisterebbero a lungo e potrebbero essere annientati. A quanto pare, ciò inquieta gli Stati Uniti”.

SP: Perché?

“Il fatto è che ai colloqui di Ginevra anche la formazione di un governo di coalizione è prevista entro sei mesi. I gruppi dell'opposizione vi sarebbero rappresentati, in proporzione alla quantità di popolazione presente sul territorio da loro controllato. Se l'esercito siriano sostenuto dalle forze aeree russe avanzasse rapidamente sul territorio della Siria, nel giro di quattro mesi questi gruppi si troverebbero a controllare tre villaggi e due pozzi. E ci si pone così la legittima domanda: su quali basi includere i rappresentanti di questi gruppi in un governo di coalizione?

E la maggior parte di questi gruppi ha già riconosciuto il ruolo di guida dell'Occidente, e più precisamente degli Stati Uniti. Per questo, gli americani temono che, grazie alle rapide e riuscite azioni delle forze siriano-russe nel paese, presto non esisterà più una “opposizione moderata”. In tal caso il governo di coalizione sarebbe formato esclusivamente dai rappresentanti del regime di Assad.

Per questa ragione diversi politici occidentali hanno iniziato ad accusare la Russia di tutti i mali immaginabili. Kerry tra questi politici ovviamente rappresenta il peso massimo, ma non è il solo ad avere fatto dichiarazioni di questo tono. Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg recentemente ha rilasciato una dichiarazione simile, mentre il segretario della difesa USA Ashton Carter è andato ancora oltre. Essi ora fanno a gara nell'accennare al fatto che la Russia avrebbe commesso crimini di guerra sul territorio della Siria. Ancora di recente, hanno affermato che sotto le bombe russe sarebbero morti rappresentanti dell'opposizione siriana filo-occidentale. Ma siccome, a quanto pare nei paesi occidentali la popolazione non simpatizza per i combattenti siriani, sono passati a parlare di vittime tra le donne e i bambini.

Tutto ciò viene fatto allo scopo di manipolare il processo in corso a Ginevra, per pretendere dalla Russia che fermi la sua offensiva in Siria, per conservare almeno lo status quo. Gli americani desiderano fortemente estromettere la Russia dalla partecipazione all'attuazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Infatti dopo la formazione di un governo di coalizione si porrà la questione della convocazione di elezioni dal carattere democratico. La Russia, secondo la risoluzione, è uno dei garanti della loro correttezza e trasparenza. Gli americani pretendono di gestire da soli questo processo perché, con la presenza della Russia, sarebbe più difficile manipolare i risultati. E sanno che il regime di Bashar al-Assad, che gode del sostegno della popolazione, si manterrebbe anche dopo le elezioni”.

SP: Perché Kerry chiede alla Russia un cessate il fuoco unilaterale, prima che gli islamisti siano stati sconfitti?

“La cessazione del fuoco, che appare nel testo della risoluzione del Consiglio di Sicurezza, si applica solo alla cosiddetta opposizione siriana moderata, che è pronta a deporre le armi e a implementare un processo politico pacifico, e alle truppe governative. Queste modalità non si applicano alle organizzazioni apertamente terroristiche come “Jabhat al-Nusra” e “Stato Islamico”. Ma, secondo la parte russa, la risoluzione non riguarda neppure alcuni gruppi, in particolare “Jaish  al-Islam” o “Fronte Islamico”, che sono sostenuti con i soldi dell'Arabia Saudita.

Gli americani insistono sul fatto che il “Fronte Islamico” sia costituito da moderati, ma la Russia esclude qualsiasi partecipazione di costoro al processo di pace e li considera terroristi. Per un semplice motivo. Il territorio, su cui i turkmeni e i turcomanni siriani hanno ucciso il nostro pilota, era controllato dai reparti di combattenti di “Jaish al-Islam”. Dopo questo episodio la Russia ha assestato un energico colpo di risposta, incalzando questo raggruppamento. Quando Kerry afferma che la Russia non interrompe le operazioni militari nonostante la risoluzione, prende in considerazione non l'offensiva contro lo “Stato Islamico”, ma nei confronti dei gruppi, che l'Occidente ritiene morbidi e immacolati”.

SP: E tuttavia, il segretario di Stato USA avanza tali accuse?

“Kerry si muove come Colin Powell, che inscenò una farsa nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU con i campioni in provetta delle cosiddette armi di distruzione di massa. Egli è un politico esperto e fa queste dichiarazioni non allo scopo di convincere qualcuno, ma per fare impressione ed esercitare pressione sia sulla Russia che sui suoi alleati politico-militari. E' un pressing psicologico fortissimo, e in un pressing gli argomenti non sono importanti, importante è la pressione. E quella che stanno esercitando Kerry, Carter e Stoltenberg”.

Il Direttore del Centro di congiuntura strategica Ivan Konovalov è d'accordo che queste accuse sono parte del meccanismo di pressione politica e psicologica.

“Se ci fossero state le prove, sarebbero state già presentate da tempo. Ma fino ad ora, nessuna organizzazione umanitaria, incluse le Nazioni Unite, ha avviato indagini in merito a tali accuse, come avviene per altri conflitti, ed ha confermato queste affermazioni. Inoltre, le forze aeree russe usano armi di precisione, e non attuano bombardamenti a tappeto. Per questo, le vittime civili su vasta scala, di cui parla Kerry, sono da escludere”.

SP: Come si spiegano questi attacchi alla Russia?

“Ogni giorno arrivano segnalazioni di piccole vittorie delle truppe siriane e dell'occupazione di nuovi centri abitati. L'avanzata è lenta, ma prosegue. Considerando che le forze di cui dispone l'esercito siriano, sono logorate da quattro anni di guerra, non può che essere diversamente da così. Ma l'offensiva si sviluppa, e lo riconoscono anche quelli che hanno criticato la presenza delle forze aeree russe in Siria. Ecco il perché di tali dichiarazioni. Il loro obiettivo è quello di disorientare l'avversario e di riprendere in qualche modo l'iniziativa. Tra l'altro, l'apparizione del film della BBC sulla Terza Guerra Mondiali, che non è altro che un attacco esplicito alla Russia, è parte di questa strategia dell'Occidente.

Per quanto riguarda la Siria, gli USA e i loro alleati sono alla frenetica ricerca di una formula che permetta di liquidare la Russia, ma utilizzando la nostra partecipazione a loro vantaggio. Essi sperano di utilizzare i successi dell'operazione, per far si che in seguito l'opposizione e i curdi facciano essi i conti con l'ISIS, spingendo la Russia fuori dal processo politico della riformattazione del futuro del paese. Sul piano militare gli americani si sono venuti a trovare in una situazione difficile. Hanno scommesso sui curdi, che hanno visto nel ruolo di loro fanteria leggera. Speravano che, con il sostegno americano, i curdi conquistassero Raqqa e sottraessero l'iniziativa alla Russia.

Ma ciò non avviene, in parte perché gli Stati Uniti hanno stretti rapporti con la Turchia, che considera terroriste le organizzazioni curde e, con tali dichiarazioni cercano di spostare l'attenzione dai successi della coalizione russo-siriana per concentrarla su qualcosa d'altro. Questa tattica è stata più volte utilizzata dagli americani in altri conflitti militari”.

Fonte: (Marx 21)
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mercoledì 10 febbraio 2016

La battaglia per Aleppo e le menzogne dei giornalisti di regime



di Vincenzo Brandi

10/2/2016

Desta veramente scandalo ed indignazione il cumulo di menzogne spudorate con cui i giornalisti dei principali canali TV e dei maggiori quotidiani descrivono le operazioni militari in Siria che potrebbero segnare una svolta nel corso della guerra che insanguina il paese da quasi 5 anni. L’apice dello scandalo è raggiunto nella descrizione, del tutto capovolta rispetto alla realtà, della battaglia per Aleppo, che potrebbe rivelarsi decisiva per le sorti della guerra.
La grande città industriale, posta nel Nord della Siria, è stata sempre la capitale economica del paese. Nel 2012 la città fu attaccata da bande jihadiste di diversa tendenza, in buona parte costituite da jihadisti e mercenari stranieri, che riuscirono a circondarla quasi completamente, ad occupare alcuni quartieri periferici comprendenti varie industrie e le centrali elettrica ed idrica, e ad infiltrarsi anche in alcuni quartieri centrali.
Gli abitanti non collaborarono minimamente all’attacco, ma ne subirono tutte le conseguenze. Infatti le industrie furono tutte smantellate dai jihadisti, continuamente riforniti dalla vicina Turchia con armi e rinforzi. Le attrezzature industriali furono tutte rivendute nella stessa Turchia, ovviamente con la complicità delle autorità turche.
Poiché però la città continuava a resistere, grazie anche ad un’incerta via di rifornimento posta a Sud-Est del centro e tenuta aperta dall’esercito, i jihadisti, cui nel frattempo si erano aggiunti anche i miliziani dello Stato Islamico (o Daesh) provenienti dall’Est, da Raqqa, tagliarono l’acqua e l’energia elettrica agli assediati, bombardando nel contempo i quartieri centrali con razzi e mortai e tormentando gli assediati con sanguinosi attentati condotti con autobombe ed altri mezzi (il più grave e micidiale fu condotto contro l’Università con la morte di decine di studenti). Su tutto questo vi sono, tra le altre, le continue testimonianze dei vescovi delle comunità cristiane cittadine, che riferiscono anche di aver fatto scavare pozzi nei recinti delle chiese per alleviare le sofferenze della popolazione assetata, testimonianze che i giornalisti non potevano ignorare, anche se non avessero voluto prestare fede alle dettagliate notizie fornite dall’agenzia siriana SANA, o dalle fonti russe (Sputnik-edizione italiana) e libanesi (Al Manar).
La controffensiva dell’esercito siriano, scattata negli ultimi mesi del 2015 con l’appoggio dell’aviazione russa, è diretta innanzitutto a “liberare” la città dall’assedio. L’esercito è quindi avanzato “dal centro della città verso la periferia e le località vicine” per allontanare gli assedianti. Verso Nord-Est è stata “liberata” la grande base militare di Kuweiri, posta a circa 25 kilometri e assediata da oltre tre anni, respingendo i miliziani di Daesh verso l’Eufrate. Verso Nord-Ovest sono state “liberate” due cittadine distanti circa 40 Kilometri, assediate anch’esse dal 2012 dai jihadisti  di Al Nusra (ramo siriano di Al Queda) e dai loro alleati di Ahrar Al Sham e dell’Esercito Libero Siriano . L’agenzia SANA ha mostrato le folle festanti che accolgono l’esercito “liberatore”. Anche verso Sud-Ovest l’esercito avanza per riaprire le strade verso le province di Homs ed Hama e permettere un maggior afflusso di rifornimenti essenziali alla popolazione.
Ebbene, le parole usate dai nostri giornalisti di regime dicono vergognosamente l’esatto opposto della realtà. Secondo loro (e secondo le veline che ricevono) sarebbe l’esercito nazionale che “avanza verso Aleppo” per “riconquistarla”, come se la città fosse in mano ai rivoltosi e ai mercenari stranieri, e non invece assediata da oltre tre anni dai jihadisti. Da Aleppo gli abitanti fuggirebbero verso la Turchia, terrorizzati dai bombardamenti russi.
In realtà all’interno del perimetro cittadino non si combatte più. I gruppi jihadisti e mercenari che si erano infiltrati in città sono accerchiati ed hanno solo la prospettiva di arrendersi o raggiungere un accordo con il governo simile a quello raggiunto dai jihadisti che erano accerchiati in un quartiere isolato di Homs e furono accompagnati alla frontiera turca con degli autobus forniti dal governo.
Il fronte si trova ormai molto a Nord della città a soli 20 Kilometri dalla frontiera turca (notizia del 7 febbraio). L’esercito nazionale vuole raggiungere la città frontaliera di Azaz per bloccare i continui rifornimenti di armi e mercenari stranieri che la Turchia fa affluire. Anche in altre zone della Siria, come nell’estremo Sud nella provincia di Deraa, l’esercito respinge  i Jihadisti verso la Giordania (che prudentemente sta cambiando il suo atteggiamento ostile verso il governo siriano), mentre anche il tratto di frontiera con la Turchia nel Nord della provincia di Latakia (dove venne proditoriamente abbattuto da un missile  turco un aereo russo)  è ormai sotto il controllo dell’esercito che blocca le infiltrazioni dei mercenari.

Di fronte a questa svolta nella guerra i nostri giornalisti, che per anni hanno ignorato la fame e la sete dei civili intrappolati ad Aleppo e taciuto sulle loro condizioni drammatiche per cui molti hanno abbandonato la città e sono finiti profughi, ora si stracciano le vesti parlando dei civili che fuggono dalle zone dei combattimenti. Facendo eco alla propaganda ed alle richieste dei due avventurieri criminali, il presidente turco Erdogan ed il suo primo ministro Davutoglu, tra i principali responsabili del massacro siriano insieme ai Sauditi e agli USA, chiedono la fine dei “bombardamenti russi”. Ma questo fervore pseudo-umanitario nasce solo dal fatto che i mercenari al servizio del neo-colonialismo e dell’imperialismo occidentale e delle monarchie oscurantiste del Golfo stanno perdendo la guerra e che la Siria, con l’aiuto della Russia, dell’Iran e degli Hezbollah libanesi, si dimostra un osso più duro del previsto. Quando i popoli resistono è vero che “l’imperialismo è una tigre di carta”.

venerdì 5 febbraio 2016

La Siria e la Dottrina Wolfowitz




04 Febbraio 2016

di Luis Manuel Arce*

da www.prensa-latina.cu


Traduzione di Marx21.it


Il presidente Barack Obama continua a muoversi in base alla Dottrina Wolfowitz, avviata nel 1992 e conservata negli anni dai suoi iniziatori George Bush padre e figlio, il cui obiettivo è sostenere con la forza un mondo unipolare guidato dagli Stati Uniti e impedire l'ascesa di potenze rivali.

Molto di quanto si è fatto dai tempi dell'invasione dell'Afghanistan e dell'Iraq, inclusi i colpi di Stato in luoghi così differenti come l'Ucraina e l'Honduras, o su questioni tanto apparentemente lontane dall'assunto militare come l'estrazione di petrolio, con lo scisto bituminoso utilizzato per farne collassare il mercato, è costituito da azioni premeditate suggerite da questa dottrina.

Questo pensiero neo-conservatore elaborato da un gruppo di ideologi del sistema e apparso qualche mese dopo la scomparsa dell'Unione Sovietica e del campo socialista europeo, mira al consolidamento di un potere unilaterale concentrato a Washington. Wolfowitz, legato per 30 anni al Pentagono, afferma senza enfasi:

“Il nostro primo obiettivo è impedire il risorgere di un nuovo rivale che rappresenti una minaccia simile a quella che si presentava precedentemente con l'Unione Sovietica, sia sul territorio della ex URSS che in qualsiasi altro luogo. Questa è la base della nostra nuova strategia di difesa regionale e richiede il nostro sforzo per evitare che una potenza ostile domini una regione le cui risorse, sotto un controllo consolidato, siano sufficienti a generare energia globale”. Naturalmente ci si riferisce all'Oriente.

Da allora, sotto la bandiera dei Bush, questo pensiero è diventato il manifesto dell'establishment statunitense, ed è stato messo in pratica fino a quando non gli è tremata la mano da Dick Cheney, allora Segretario della Difesa, ed è stato proseguito e mantenuto dai suoi successori al Pentagono e al Dipartimento di Stato, secondo l'autorevole analista politico statunitense Paul Craig Roberts.

La sua essenza è stata esposta poco tempo fa dal giornalista nordamericano seguace di questa ideologia Charles Krauthammer nel Washington Post, dove ha scritto:

“Abbiamo un potere globale schiacciante. La storia ci ha designato come i custodi del sistema internazionale. Quando l'Unione Sovietica fu smembrata, nacque qualcosa di nuovo, di completamente nuovo, un mondo unipolare dominato da una superpotenza unica senza alcun rivale e con una proiezione decisiva in tutti gli angoli del mondo. Ciò comporta un nuovo e sorprendente sviluppo della storia, che non si vedeva dai tempi della caduta di Roma. Neppure Roma rappresenta un modello adeguato per quello che oggi sono gli Stati Uniti”.

Il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro non ha mancato di denunciare che le insolenze dell'oppositore Henry Ramos Allup (attuale presidente dell'Assemblea Nazionale venezuelana, ndt), arrivato al punto di far togliere dall'emiciclo in modo irriverente quadri con l'effigie del Libertador Simon Bolivar e del leader bolivariano Hugo Chavez, fanno parte di un piano appoggiato dall'estero per creare le condizioni che “giustifichino” un intervento militare.

Nello stesso contesto si iscrive la disobbedienza verso il Tribunale Supremo di Giustizia quando si fa giurare nell'Assemblea i tre deputati contestati, gesto con cui l'opposizione conservatrice disconosce il Potere Giudiziario.

Questo panorama non è nuovo ed è molto ben definito nella Dottrina Wolfowitz con lo scatenamento del caos premeditato e con un copione specifico in Libia allo scopo di rovesciare e assassinare Muammar Gheddafi e occupare il paese, come ha denunciato Craig Roberts.

Come questo esperto ripete, il caos non è stato provocato in Libia perché i libici non hanno saputo mettersi d'accordo tra loro dopo la morte di Gheddafi, ma perché questo era l'obiettivo strategico degli Stati Uniti. Non c'è stata una rivoluzione democratica ma un movimento secessionista nella regione della Cirenaica. Non c'è mai stata l'applicazione del mandato dell'ONU per proteggere la popolazione, ma un massacro perpetrato dalla NATO che è costato la vita a 160.000 libici, di cui il 75% è rappresentato da civili, secondo la Croce Rossa Internazionale.

Il Venezuela, certamente, non è un fatto isolato perché la dottrina neo-conservatrice Wolfowitz è globale, come lo è la Dottrina Brzezinski sull' “erosione dall'interno” che a suo tempo servì da base a ciò che ancora pratica la Casa Bianca.

La guerra in Siria è la più recente espressione di tale concezione perché in questo teatro di battaglia gli Stati Uniti hanno una molteplicità di obiettivi geopolitici che vanno dal monopolizzare a proprio beneficio la rotta del petrolio e del gas, fino al consolidamento del regime sionista in Israele, all'accerchiamento militare della Repubblica Popolare Cinese e della Russia e al conseguimento del controllo politico assoluto della regione.

Il criterio utilizzato per tale strategia è che, sconfitta l'URSS che era il muro di contenimento dell'unipolarismo degli USA, non si può permettere che la Russia del presidente Vladimir Putin assuma il ruolo dei sovietici o che anche la Cina, con il suo sorprendente sviluppo economico, lo faccia e si unisca a Mosca in un'alleanza strategica molto potente.

L'ordine è stato dato dai neo-conservatori: egemonia mondiale per e da parte degli Stati Uniti. Sparare per uccidere in “qualsiasi angolo oscuro del mondo”, come proclamò Bush figlio alla vigilia delle invasioni nel Medio Oriente.

Questo obiettivo spiega gli accadimenti in Afghanistan e Iraq, l'impunità di Israele per i suoi crimini e la colonizzazione dei territori occupati, le minacce all'Iran, gli incresciosi fatti di Libia, l'atroce guerra in Siria, l'apparizione di presunti gruppi fondamentalisti senza ordine né legge, il caos in paesi del Nord Africa, il colpo di Stato in Ucraina, l'offensiva contro l'ex presidente Cristina Fernandez in Argentina e Dilma Rousseff in Brasile, le pressioni sui presidenti dell'Ecuador, Rafael Correa, e della Bolivia, Evo Morales, il caos in Venezuela, e la vergognosa sottomissione dell'Europa a Washington.

Il Venezuela ha lanciato l'allarme in America Latina, mentre Eric Sommer, del Global Time,  mette in guardia rispetto a ciò che definisce proto-guerra degli Stati Uniti contro la Cina e l'infelice ruolo che Washington cerca di assegnarle con l'Associazione Transpacifica (TPP) in questo pericoloso gioco.

Questa proto-guerra, secondo quanto dice, pare indirizzata a intimidire, indebolire e anche probabilmente a destabilizzare il governo e la società e include tentativi di accerchiare e isolare, militarmente, economicamente e sul piano informatico la Cina.

In questa strategia, Sommer mette in guardia sul fatto che gli Stati Uniti considerano il TPP come l'ala economica della proto-guerra destinata a circondare la Cina, e lo considera una proposta di trattato regolatore e di investimento regionale che escluderebbe Pechino dagli attuali negoziati.

Gli ideologi statunitensi, indipendentemente dalle loro preferenze di partito – Paul Wolfovitz fu prima democratico e in seguito repubblicano –, si sono considerati vincitori della guerra fredda e hanno proclamato la fine della storia, come ha teorizzato Francis Fukuyama, anche allo scopo di privare i popoli di una memoria storica.

In tal modo hanno edificato il muro propagandistico della pretesa unipolarità per far credere che la storia abbia attribuito al capitalismo l'investitura di ideologia universale e agli Stati Uniti quella  di paese eccezionale per dirigerla.

In tale contesto verrà il giorno in cui si conosceranno i segreti dei retroscena della caduta delle torri gemelle l'11 settembre – evento sul quale esistono molti fondati dubbi – che spalancarono la strada   alle disgrazie che si vivono oggi nel Medio Oriente e alla proliferazione di organizzazioni terroriste come lo Stato Islamico, Al Qaeda e molte altre di origine tanto oscura.

Il colpo di Stato in Ucraina del 22 febbraio 2014 e le sanzioni degli Stati Uniti e dell'Europa alla Russia del presidente Putin contengono un messaggio subliminale neo-conservatore, quello del potere unico a cui alludono gli unipolaristi.

Naturalmente, che lo si voglia o no, le fondamenta della Dottrina Wolfowitz sono poco solide e l'edificio è stato scosso dal blocco russo estremamente efficace all'invasione militare che era stata pianificata per la Siria.

I neo-conservatori lo sanno e lo considerano come una sconfitta della loro dottrina, e ciò spiega in parte le scosse che stanno subendo gli Stati Uniti e l'Europa nella loro presunta battaglia contro lo Stato Islamico.

Nonostante tutto, la Siria continua a rappresentare l'incrocio tra la pace e la guerra in gran parte del mondo. La pace promossa da coloro che lottano per la responsabilità condivisa in un mondo multipolare. La guerra come consapevole risorsa distruttiva che purtroppo può essere utilizzata da coloro che continuano ostinatamente a perseguire il controllo unipolare dell'universo.

*Editor di Prensa Latina

mercoledì 3 febbraio 2016

Dietro la maschera «anti-Isis»



di Manlio Dinucci
 

Quest’anno il Carnevale romano si apre il 2 febbraio, quando si esibisce alla Farnesina lo «small group», il piccolo gruppo ministeriale (23 paesi più la Ue) della «Coalizione globale anti-Daesh/Isis», co-presieduto dal segretario di Stato Usa John Kerry e dal ministro degli esteri Paolo Gentiloni. Ne fanno parte, mascherati da antiterroristi, i maggiori sponsor del terrorismo di «marca islamica», da decenni usato per minare e demolire gli Stati che ostacolano la strategia dell’impero. 

Alla testa della sfilata in maschera gli Stati uniti e l’Arabia Saudita. Quelli che – documenta una inchiesta del New York Times (24 gennaio)  – armano e addestrano i «ribelli» da infiltrare  in Siria per l’operazione «Timber Sycamore», autorizzata segretamente dal presidente Obama nel 2013, condotta dalla Cia e finanziata da Riyad con milioni di dollari.  Confermata dalle immagini video del senatore Usa John McCain che, in missione in Siria per conto della Casa Bianca, incontra nel maggio 2013 Al Baghdadi, il «califfo» a capo dell’Isis. 

È l’ultima delle operazioni coperte Usa-Saudite, iniziate negli anni Settanta e Ottanta: per destabilizzare l’Angola e altri paesi africani, per armare e addestrare i mujahiddin in Afghanistan, per sostenere i contras in Nicaragua. Ciò spiega perché gli Stati uniti non criticano l’Arabia Saudita per la violazione dei diritti umani e la sostengono attivamente nella guerra che fa strage di civili nello Yemen. 

Fanno parte del gruppo mascherato anche la Giordania e il Qatar dove, documenta il New York Times, la Cia ha costituito le basi di addestramento dei «ribelli», compresi «gruppi radicali come Al Qaeda», da infiltrare in Siria e altri paesi. Il Qatar fornisce per tali operazioni anche commandos, come fece quando nel 2011 inviò in Libia almeno 5mila uomini delle forze speciali. «Noi qatariani eravamo tra i ribelli libici sul terreno, a centinaia in ogni regione», dichiarò poi il capo di stato maggiore Hamad al-Atiya (The Guardian, 26 ottobre 2011). 

Tra gli «antiterroristi» che si esibiscono alla Farnesina ci sono anche gli Emirati Arabi Uniti, che hanno formato dal 2011 tramite la Blackwater un esercito segreto mercenario di circa 2mila contractor, di cui circa 450 (colombiani e altri latinoamericani) sono ora impegnati nell’aggressione allo Yemen. 

C’è il Bahrain che, dopo aver schiacciato nel sangue l’opposizione  democratica interna con l’aiuto delle truppe saudite, ora restituisce il favore affiancando l’Arabia Saudita nel massacro degli yemeniti, impresa a cui partecipa il Kuwait, anch’esso membro del gruppo «antiterrorista». 

Di cui fa parte la Turchia, avamposto Nato della guerra contro la Siria e l’Iraq, che ha sostenuto l’Isis inviandogli ogni giorno centinaia di tir carichi di armi e altri materiali. Per aver pubblicato le prove, anche video, della fornitura di armi all’Isis da parte dei servizi segreti di Ankara, giornalisti turchi Can Dündar e Erdem Gül sono stati arrestati e rischiano l’ergastolo. 

Tra le presenze occidentali nel gruppo mascherato spiccano la Francia e la Gran Bretagna, che usano forze speciali e servizi segreti per operazioni coperte in Libia, Siria e altri paesi. 

Fa gli onori di casa l’Italia, che ha contribuito a incendiare il Nordafrica e Medioriente partecipando alla demolizione della Libia.  Dove ora si prepara a ritornare, addirittura col ruolo «guida», per un’altra guerra sotto comando Usa/Nato, che, mascherata da «peacekeeping», mira al controllo delle zone strategiche e delle risorse energetiche libiche. Nei saloni della Farnesina riecheggiano le note di «Tripoli, bel suol d’amore», la canzone che nel 1911 inneggiava alla guerra coloniale in Libia.
 
(il manifesto, 2 febbraio 2016)