giovedì 1 aprile 2021

SCENA DELL’ARTE La fotografia di Antonino Siragusa




SCENA DELL’ARTE

La fotografia di Antonino Siragusa


 PREFAZIONE

di Diego Siragusa

 

Mi sono convinto, dopo molti anni di frequentazione assidua, che l’opera fotografica di Antonino Siragusa si connota per “dichiarazioni d’amore”. Dopo il primo volume dedicato al mondo del jazz e ai suoi musicisti, dal meno noto fino alle leggende universalmente riconosciute, ora è venuto il momento del mondo dell’arte ovvero l’incontro con la pittura, la scultura e le rappresentazioni estemporanee delle correnti artistiche contemporanee, avanguardie comprese. Non si intende con questo dire che l’occhio fotografico di Siragusa non catturi gli altri aspetti dell’esistenza o si dimostri ad essa estraneo, si intende dire che vi sono delle predilezioni, delle vocazioni da cui il nostro autore si dimostra particolarmente attratto. Come un rabdomante, Antonino Siragusa afferra le occasioni, le cerca e, come un solitario scopritore di tesori si “impossessa” di immagini uniche e, forse, irripetibili. Così è avvenuto col Jazz e così è avvenuto con l’arte contemporanea in occasioni fortunate che egli ha saputo non perdere, come nel caso della rappresentazione “fisica” dell’opera “Guernica” di Picasso messa in scena con delle donne figuranti che portano sul proprio corpo pitturato i segni del cubismo picassiano e gli elementi distintivi dell’opera. Immagini che riempiono di stupore, non solo per l’intelligenza degli ideatori per aver saputo rappresentare un’opera “vivente”, ma per il nostro fotografo che ha saputo fissare con notevole efficacia la fase preparatoria delle figuranti e la fase “espositiva” dell’opera come una forma di recitazione muta, una mimesi.

Nel caso di Mitoraj assistiamo alla ricostruzione di un paesaggio “con rovine”. Rovine di foggia greca: questo è lo stile delle opere di Mitoraj disseminate ad Agrigento nella Valle dei Templi. Qui Siragusa le fotografa, nella sua Sicilia che assume, ancora di più, le sembianze originarie della Magna Grecia. I corpi dei guerrieri mutilati, le teste staccate dal tronco e adagiate a terra rimandano alla bellezza classica, all’armonia e alla perfezione della forma come sinonimi di virtù e verità.

Lo spirito geometrico che contraddistingue i grandi protagonisti dell’arte contemporanea doveva attirare la curiosità del nostro fotografo. Quale poteva essere l’artista che del rigore geometrico aveva fatto la regola aurea della propria opera? Maurits Cornelis Escher. L’occasione per render omaggio a questo grande artista è un viaggio in Olanda fino al “Museo Escher” che si trova a L’Aia. Nei vari scatti osserviamo non solo la centralità delle opere di Escher ma anche il “coinvolgimento” dei visitatori che partecipano alle provocazioni tecniche dell’artista che li trascina nei propri giochi illusionistici. L’occhio di Siragusa  presenta le opere di Escher da curiose angolazioni prospettiche: attraverso le straordinarie lampade che arredano il museo, con le rifrazioni degli specchi o attraverso vetrate opache che deformano il soggetto. I primi piani dei visitatori diventano “illustrazioni” delle emozioni che essi provano con silenzi densi di stupore o con prolungati incantamenti davanti alle immagini visionarie di edifici, di animali in metamorfosi o ai giochi geometri che si dipanano uguali e ripetitivi nello spazio di una parete.

L’aspetto curioso di questa nuova silloge di foto di Antonino Siragusa è il pedinamento di altri artisti, alcuni localmente famosi e altri meno, catturati nel momento di esecuzione dei loro lavori. Si tratta di opere estemporanee durante esibizioni collettive o solitarie dove gli artisti sono colti “a propria insaputa”. L’obiettivo fissa le bizzarrie, la pluralità delle tecniche e lampi insoliti di creatività che presuppongono faticosi tirocinii e improbi studi. In questa cattura di immagini centrate sull’arte non c’è una regola. Antonino Siragusa “afferra” ciò che il caso gli concede, come nello scatto che raffigura una coppia di sposi in mezzo ad alcune statue sullo sfondo del mare assistito da nuvole provvidenziali, fotogeniche, formatesi come per incanto a completare l’opera.

Non mancano le “installazioni” di artisti fedeli alle avanguardie nell’atto di mostrare se stessi e le proprie confessioni ideologiche o filosofiche, come la polemica citazione di Nietzsche nel contesto di un’opera iconoclastica: “Le religioni sono come le lucciole, per brillare hanno bisogno di buio”. Sorprendente lo scatto di un murale che si trova a Pollara, nell’isola di Salina, raffigurante Massimo Troisi e Philippe Noiret, proprio nel luogo dove furono girate molte scene del film “Il postino”, e al quale ha dato la sua parte di figurante l’autore di questa prefazione.

Un omaggio generoso il nostro fotografo concede agli artisti di strada, questi nomadi estrosi capaci di sorprenderci con le loro tecniche e maniere che denotano una lunga assuefazione col disegno e col pennello. Si tratti di un abile caricaturista, di un artigiano del cavalletto, di un pittore sorpreso in Olanda nell’atto di interpretare una teoria di mulini, di una disabile all’opera col pennello in bocca, di uno scultore del legno o della terracotta, di un vagabondo artista clochard che campa coi suoi cartoncini abilmente dipinti con paesaggi, chiese e piazze, sempre l’occhio del nostro fotografo nobilita quella “arte povera”, antiaccademica, in attesa di un umile riconoscimento della propria dignità. Veri atti d’amore, quindi, che ci dicono quanto necessaria sia la “bellezza” e la sua contemplazione come contraltare al mondo consumista, superficiale e distratto che consuma le fondamenta dell’esistenza. Oggi sappiamo quanto Picasso fosse attratto da questa arte “anonima”, quanto fosse curioso, girando le strade di Roma, di osservare i “poveri artisti” e, a volte, rubasse qualcosa da loro che poi trasferiva sulle sue tele.

Fedele al suo amore per il jazz, il nostro fotografo, durante le sue peregrinazioni di rabdomante, ha dato lustro agli artisti di questa nobile musica sullo sfondo di affreschi, quadri, murali, statue, quasi tentando di far sentire allo spettatore note musicali di sottofondo che accompagnano l’opera d’arte figurativa. Una gioia dell’occhio che si appaga di emozioni inconsuete che solo chi conosce bene la grammatica e la sintassi della luce è capace di dare. In fondo, se gli antichi greci chiamavano l’arte “tekné” una ragione ci sarà!

PICASSO INTERPRETATO 

SUL CORPO UMANO












ARTISTI ESTEMPORANEI






































IGOR  MITORAJ
























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