lunedì 29 febbraio 2016

PERCHE' GLI ARABI NON CI VOGLIONO IN SIRIA?




Di Robert F. Kennedy, JR


Perché gli arabi non ci vogliono in Siria
Essi non odiano 'le nostre libertà.' Odiano che abbiamo tradito i nostri ideali 
nei loro paesi - per il petrolio.


In parte perché mio padre fu assassinato da un arabo, ho fatto uno sforzo per comprendere l'impatto della politica degli Stati Uniti in Medio Oriente e in particolare i fattori che motivano a volte le risposte sanguinarie del mondo islamico contro il nostro paese. Quando ci concentriamo sulla crescita dello Stato islamico e cerchiamo la fonte della barbarie che ha preso così tante vite innocenti a Parigi e a San Bernardino, dovremmo guardare al di là delle spiegazioni di comodo della religione e dell’ideologia. Invece dovremmo esaminare le più complesse logiche della storia e del petrolio - e come queste ,spesso, puntano il dito sulle nostre colpe passate.

Il primato sgradevole degli interventi violenti dell'America in Siria - poco conosciuto al popolo americano ma ancora ben noto ai siriani - ha seminato un terreno fertile per il jihadismo islamico violento che ora complica qualsiasi risposta efficace del nostro governo per affrontare la sfida di ISIL. Finché l'opinione pubblica e i politici americani non sono a conoscenza di questo passato, ulteriori interventi rischiano solo di aggravare la crisi. Il Segretario di Stato John Kerry questa settimana ha annunciato un cessate il fuoco "provvisorio" in Siria. Ma dal momento che l’influenza e il prestigio degli Stati Uniti all'interno della Siria sono al minimo - e il cessate il fuoco non riguarda i combattenti chiave come lo Stato islamico e al Nusra – esso è destinato ad essere una tregua al massimo traballante. Allo stesso modo l'intervento militare intensificato del presidente Obama in Libia – gli attacchi aerei degli Stati Uniti la scorsa settimana hanno preso di mira un campo di addestramento dello Stato islamico - è probabile che rafforzino, piuttosto che indebolire i radicali. Come ha riferito il New York Times in un articolo di prima pagina l’8 dicembre 2015, i capi politici e i pianificatori strategici dello stato islamico stanno lavorando per provocare un intervento militare americano. Essi sanno per esperienza che questo farà affluire nelle loro fila i combattenti volontari, soffocherà le voci dei moderati e unificherà il mondo islamico contro l'America.
Per capire questa dinamica, abbiamo bisogno di guardare la storia dal punto di vista dei siriani e in particolare i semi del conflitto in corso. Molto prima che la nostra occupazione dell'Iraq nel 2003 innescasse la rivolta sunnita che ormai si è trasformata in Stato Islamico, la CIA aveva nutrito un jihadismo violento come arma della guerra fredda e ha fatto viaggiare le relazioni USA/Siria con i bagagli tossici.

Questo non è avvenuto senza polemiche in casa. Nel mese di luglio 1957, in seguito a un fallito colpo di stato in Siria organizzato dalla CIA, mio ​​zio, il senatore John F. Kennedy, fece infuriare la Casa Bianca del Presidente Eisenhower, i capi di entrambi i partiti politici ed i nostri alleati europei con un discorso memorabile avallando il diritto all’autogoverno del mondo arabo e la fine delle ingerenze imperialiste degli Stati Uniti nei paesi arabi. Nel corso della mia vita, e in particolare durante i miei frequenti viaggi in Medio Oriente, innumerevoli arabi mi hanno affettuosamente ricordato quel discorso come la più chiara affermazione dell'idealismo che si aspettavano dal discorso di Kennedy; era un invito per impegnare di nuovo l'America ai valori alti che il ​​nostro paese aveva sostenuto nella Carta Atlantica; l'impegno formale che tutte le ex colonie europee avrebbero avuto il diritto all’auto-determinazione dopo la Seconda Guerra Mondiale. Franklin D. Roosevelt aveva armato notevolmente Winston Churchill e gli altri alleati per firmare la Carta Atlantica nel 1941 come condizione preliminare per il sostegno degli Stati Uniti nella guerra contro il fascismo europeo.
Ma grazie in gran parte ad Allen Dulles e alla CIA, la cui politica estera fatta di intrighi era spesso direttamente in contrasto con le politiche dichiarate della nostra nazione, il percorso idealista delineato nella Carta Atlantica non fu la strada intrapresa. Nel 1957, mio ​​nonno, l'ambasciatore Joseph P. Kennedy, sedeva in un comitato segreto incaricato di investigare i misfatti clandestini della CIA in Medio Oriente. Il cosiddetto "Rapporto Bruce-Lovett", del quale fu uno dei firmatari, descrisse i colpi di stato della CIA trame in Giordania, Siria, Iran, Iraq e in Egitto, fatti notoriamente conosciuti per le strade arabe, ma praticamente sconosciuti al popolo americano che credeva, come fossero oro colato, alle smentite del loro governo. Il rapporto incolpava la CIA per il dilagante antiamericanismo che stava poi misteriosamente prendendo piede "nei numerosi paesi nel mondo di oggi." Il Rapporto di Bruce-Lovett sottolineava che tali interventi erano antitetici ai valori americani e aveva compromesso la guida e l’autorità morale internazionale degli Stati Uniti senza che il popolo americano fosse informato. Il diceva anche che la CIA non aveva mai considerato il modo in cui avrebbe trattato tali interventi se qualche governo straniero dovesse applicarli nel nostro paese.
Questa è la storia sanguinosa che manca  ai moderni interventisti, come George W. Bush, Ted Cruz e Marco Rubio quando recitano il loro narcisistico luogo comune che i nazionalisti del Medio Oriente "ci odiano per le nostre libertà."In buona parte non è vero; invece ci odiano per il modo in cui abbiamo tradito tali libertà - i nostri ideali – dentro i loro confini.

* * *
Per gli americani che vogliono capire realmente cosa sta succedendo, è importante rivedere alcuni dettagli su questa storia sordida ma poco ricordata. Nel corso del 1950, il presidente Eisenhower e i fratelli Dulles – il direttore della CIA Allen Dulles e il Segretario di Stato John Foster Dulles – respinsero le proposte sovietiche di trattato per considerare il Medio Oriente una zona neutrale nella Guerra Fredda e lasciare che gli arabi governino l’Arabia. Invece, hanno montato una guerra clandestina contro il nazionalismo arabo - che Allen Dulles equiparò al comunismo - in particolare quando l'autogoverno arabo minacciò le concessioni petrolifere. Hanno pompato segreti aiuti militari americani ai tiranni in Arabia Saudita, Giordania, Iraq e Libano favorendo questi pupazzi con ideologie conservatrici jihadiste che essi consideravano come un antidoto affidabile al marxismo sovietico. In un incontro alla Casa Bianca tra il direttore dei piani della CIA Frank Wisner, e John Foster Dulles, nel settembre del 1957, Eisenhower consigliò all'agenzia: “Dobbiamo fare tutto il possibile per sottolineare l'aspetto di 'guerra santa'”, secondo una nota registrata dal suo segretario personale, il generale Andrew J. Goodpaster.

La CIA iniziò la sua ingerenza attiva in Siria nel 1949 - appena un anno dopo la creazione dell'Agenzia. I patrioti siriani avevano dichiarato guerra ai nazisti, espulsero i loro dominatori coloniali francesi di Vichy e realizzarono una fragile democrazia laica basata sul modello americano. Ma nel marzo 1949, il presidente democraticamente eletto della Siria, Shukri al-Quwatli, esitò ad approvare la pipeline Trans-araba, un progetto americano destinato a collegare i campi petroliferi dell’Arabia Saudita per i porti del Libano attraverso la Siria. Nel suo libro, Legacy of Ashes, lo storico della CIA Tim Weiner racconta che come rappresaglia per la mancanza di entusiasmo per il gasdotto americano da parte di Al-Quwatli, la CIA organizzò un colpo di stato per sostituire al-Quwatli con il dittatore selezionato dalla CIA, un truffatore condannato di nome Husni al- Za'im. Al-Za'im ebbe appena il tempo di sciogliere il parlamento e approvare l'oleodotto americano prima che i suoi connazionali lo deponessero, durante i quattro mesi e mezzo del suo regime.
Dopo numerosi contro-colpi di stato nel paese di nuovo destabilizzato, il popolo siriano cercò di nuovo la democrazia nel 1955, ri-eleggendo al-Quwatli e il suo partito nazionale. Al-Quwatli era ancora neutralista nella Guerra Fredda, ma, stimolato dal coinvolgimento americano nella sua estromissione, a questo punto si rivolse verso il campo sovietico. Questo atteggiamento spinse il direttore della CIA Dulles a dichiarare che "la Siria è maturo per un colpo di stato" e inviò i suoi due maghi del colpo di stato, Kim Roosevelt e Rocky Stone, a Damasco.
Due anni prima, Roosevelt e Stone aveva orchestrato un colpo di stato in Iran contro il presidente democraticamente eletto Mohammed Mosaddegh, dopo Mosaddegh cercarono di rinegoziare i termini dei contratti sbilenchi dell'Iran con il gigante petrolifero britannico Anglo-Iranian Oil Company (ora BP). Mosaddegh fu il primo statista eletto in 4000 anni di storia iraniana e un campione popolare per la democrazia in tutto il mondo in via di sviluppo. Mosaddegh espulse tutti i diplomatici britannici dopo aver scoperto un tentativo di colpo di stato da parte  di ufficiali dei servizi segreti del Regno Unito che lavoravano in combutta con la BP. Mosaddegh, tuttavia, fece l'errore fatale di resistere alle suppliche dei suoi consiglieri di espellere anche la CIA, che, essi giustamente sospettavano di complicità nel complotto britannico. Mosaddegh idealizzò gli Stati Uniti come un modello di governo per la nuova democrazia in Iran e incapace di tali perfidie. Nonostante la ricostruzione del rapporto con Dulles, il presidente Harry Truman aveva proibito alla CIA di unirsi attivamente agli stravaganti inglesi per rovesciare Mosaddegh. Quando Eisenhower entrò in carica nel gennaio del 1953, immediatamente scatenò Dulles. Dopo aver spodestato Mosaddegh con l’ "Operazione Ajax," Stone e Roosevelt installarono lo Shah Reza Pahlavi, che favorì gli Stati Uniti le compagnie petrolifere, ma il cui feroce  regime verso il suo popolo, durato due decenni e sostenuto dalla CIA, avrebbe finalmente infiammato la rivoluzione islamica del 1979 che ha tormentato la nostra politica estera per 35 anni.
Soddisfatto per il “successo” dell’ Operazione Ajax " in Iran, Stone arrivò a Damasco nel mese di aprile 1957 con  3 milioni di dollari per armare e incitare i militanti islamici e corrompere gli ufficiali militari siriani e i politici per rovesciare il regime laico democraticamente eletto di al-Quwatli, come si legge nel libro SAFE FOR DEMOCRACY  : the secret wars of CIA, di John Prados. Lavorando con la Fratellanza Musulmana  e con milioni di dollari, Rocky Stone tramò per assassinare il capo siriano dei servizi segreti, il capo di Stato Maggiore e il capo del Partito comunista, e di progettare "cospirazioni nazionali e varie provocazioni violente" in Iraq, Libano e Giordania che potevano essere imputate ai baathisti siriani. Tim Weiner descrive in Legacy of Ashes come il piano della CIA fosse quello di destabilizzare il governo siriano e creare un pretesto per un'invasione da parte dell’Iraq e della Giordania, i cui governi erano già sotto il controllo della CIA. La previsione di Kim Roosevelt che il governo fantoccio di nuova installazione della CIA avrebbe "contato on primo luogo sulle misure repressive e sull'esercizio arbitrario del potere", secondo documenti declassificati della CIA riportati nel quotidiano The Guardian.

Ma tutti quei soldi della CIA non riuscirono a corrompere gli ufficiali militari siriani. I soldati riferirono i tentativi della CIA di corrompere il regime baathista. In risposta, l'esercito siriano invase l'ambasciata americana, prendendo Stone prigioniero. Dopo un duro interrogatorio, Stone fece una confessione televisiva del suo ruolo nel colpo di stato iraniano e nel tentativo della CIA abortito per rovesciare il governo legittimo della Siria. I siriani espulsero Stone e due membri dello staff dell'ambasciata degli Stati Uniti. Era la prima volta che un diplomatico americano del Dipartimento di Stato fosse cacciato da un paese arabo. La Casa Bianca di Eisenhower in modo disonesto respinto la confessione di Stone come "invenzioni" e "calunnie", una negazione inghiottita per intero dalla stampa americana, guidata dal New York Times e creduta dal popolo americano, che condivideva la visione idealistica di Mosaddegh del loro governo. La Siria eliminò tutti i politici simpatizzanti degli Stati Uniti e giustiziò per tradimento tutti gli ufficiali militari coinvolti nel colpo di stato. Per ritorsione, gli Stati Uniti spostarono la Sesta Flotta nel Mediterraneo, minacciarono la guerra e pungolarono la Turchia a invadere la Siria. I turchi raccolsero 50.000 soldati ai confini della Siria e fecero marcia indietro solo di fronte all'opposizione unita dalla Lega Araba i cui capi erano furiosi per l'intervento degli Stati Uniti. Anche dopo la sua espulsione, la CIA proseguì i suoi sforzi segreti per rovesciare il governo ba'athista democraticamente eletto della Siria. La CIA tramò col servizio segreto britannico MI6 per formare un "Comitato per la Siria libera" e armò i Fratelli Musulmani per assassinare tre funzionari del governo siriano, che avevano aiutato a smascherare "il complotto americano", secondo quanto scrive Matthew Jones in “The ‘Preferred Plan’: The Anglo-American Working Group Report on Covert Action in Syria, 1957.” I misfatti della CIA spisero la Siria ancora più lontano dagli Stati Uniti e in una prolungata alleanza con la Russia e l’Egitto.
Dopo il secondo tentativo di colpo di stato in Siria, rivolte anti-americane scossero il Medio Oriente dal Libano all'Algeria. Tra i riverberi vi fu il colpo di stato del 14 luglio 1958, guidato dalla nuova ondata di ufficiali anti-americani dell'esercito che rovesciarono il monarca filoamericano iracheno, Nuri al-Said. I golpisti pubblicarono documenti governativi segreti, esponendo Nuri al-Said come un fantoccio ben pagato della CIA. In risposta al tradimento americano, il nuovo governo iracheno invitò i diplomatici e i consiglieri economici sovietici in Iraq e girò le spalle all'Occidente.

Dopo aver perso l'Iraq e la Siria, Kim Roosevelt abbandonò il Medio Oriente per lavorare come dirigente per l'industria petrolifera che aveva servito così bene durante la sua carriera di servizio pubblico alla CIA. Il sostituto di Roosevelt come capo locale della CIA, James Critchfield, tentò un assassinio fallito contro il nuovo presidente iracheno con un fazzoletto tossico, secondo Weiner. Cinque anni più tardi, la CIA finalmente riuscì a deporre il presidente iracheno e l'installazione del partito Baath al potere in Iraq. Un giovane assassino carismatico di nome Saddam Hussein fu uno dei capi illustri della squadra ba'athista della CIA. Il segretario del partito Ba'ath, Ali Saleh Sa'adi, che si insediò al fianco di Saddam Hussein, dirà più tardi, "Siamo andati al potere su un treno della CIA", secondo A Brutal Friendship: The West and the Arab Elite, di Said Aburish, giornalista e autore. Aburish ha raccontato che la CIA aveva fornito a Saddam ed ai suoi amici una lista di persone che "dovevano essere eliminate immediatamente al fine di assicurare il successo." Tim Weiner scrive che Critchfield poi riconobbe che la CIA aveva, in sostanza, "creato Saddam Hussein." durante gli anni di Reagan, la CIA ha fornito a Hussein miliardi di dollari in addestramento aiuti alle forze speciali, armi e informazioni riservate sui campi di battaglia, sapendo che stava usando gas mostarda, gas nervino e armi biologiche - tra cui l'antrace ottenuto dal governo degli Stati Uniti - nella sua guerra contro l'Iran. Reagan e il suo direttore della CIA, Bill Casey, consideravano Saddam come un potenziale amico per l'industria petrolifera statunitense e una barriera robusta contro la diffusione della rivoluzione islamica iraniana. Il loro emissario, Donald Rumsfeld, incontrò Saddam con speroni da cowboy d'oro e un menu di armi biologiche e chimiche convenzionali in occasione di un viaggio del 1983 a Baghdad. Allo stesso tempo, la CIA stava illegalmente fornendo al nemico di Saddam, l'Iran, migliaia di missili anti-carro e anti-aerei per combattere l’Iraq, un crimine reso famoso durante lo scandalo Iran-Contra. Jihadisti provenienti da entrambe le parti in seguito rivolsero molte di queste armi fornite dalla CIA contro il popolo americano.
Anche quando l'America contempla già l'ennesimo intervento violento in Medio Oriente, la maggior parte degli americani non è consapevole dei molti modi in cui quel "contraccolpo" da precedenti errori della CIA ha rafforzato la crisi attuale. Le ripercussioni dopo decenni di losche manovre della CIA oggi continuano a risuonare in tutto il Medio Oriente, nelle capitali nazionali e dalle moschee alle scuole Madras oltre il paesaggio distrutto della democrazia e dell’Islam moderato che la CIA ha aiutato a cancellare.
Una sfilata di dittatori iraniani e siriani, tra cui Bashar al-Assad e suo padre, hanno invocato la storia di colpi di stato sanguinosi della CIA come pretesto per il loro regime autoritario, le tattiche repressive e la necessità di una forte alleanza con la Russia. Queste storie sono, quindi, ben note ai popoli di Siria e Iran, che, naturalmente, interpretano la versione dell’intervento degli Stati Uniti nel contesto di quella storia.
Mentre la stampa americana allineata ripete come i pappagalli la narrazione che il nostro sostegno militare all'insurrezione siriana è puramente umanitari, molti arabi vedono la crisi come un’altra guerra per procura sui gasdotti e la geopolitica. Prima di precipitare più in profondità verso l'incendio, sarebbe saggio per noi considerare i tanti fatti che sostengono quella prospettiva.
A loro avviso, la nostra guerra contro Bashar Assad non è cominciata con le pacifiche proteste civili della primavera araba nel 2011. Invece è iniziata nel 2000, quando il Qatar propose di costruire un gasdotto di 10 miliardi di dollari, lungo 1.500 km attraverso l'Arabia Saudita, la Giordania, la Siria e La Turchia. Il Qatar condivide con l'Iran il giacimento di gas di South Pars / North Dome, il più ricco di gas naturale del mondo. L'embargo del commercio internazionale fino a poco tempo vietava all'Iran di vendere gas dall'estero. Nel frattempo, il gas del Qatar poteva raggiungere i mercati europei solo se viene liquefatto e spedito via mare, un percorso che limita il volume e drammaticamente aumenta i costi. La conduttura proposta avrebbe collegato il Qatar direttamente ai mercati europei dell'energia tramite terminali di distribuzione in Turchia, che avrebbe intascato ricche tasse di transito. Il gasdotto Qatar / Turchia darebbe ai regni sunniti la dominazione decisiva dei mercati del Golfo Persico di gas naturale in  tutto il mondo e rafforzare il Qatar, il più stretto alleato degli Stati Uniti nel mondo arabo. Il Qatar ospita due enormi basi militari americane e la sede del Quartier Generale mediorientale del Comando Centrale degli Stati Uniti.
L'Unione Europea, che ottiene il 30 per cento del suo gas dalla Russia, era ugualmente interessata al gasdotto, che avrebbe dato ai suoi membri energia a basso costo e sollievo dall’influenza economica e politica soffocante di Vladimir Putin. La Turchia, il secondo più grande cliente di gas della Russia, era particolarmente ansioso di porre fine alla sua dipendenza dal suo antico rivale e di posizionarsi come centro di smistamento redditizio per i combustibili asiatici verso i mercati dell'UE. La conduttura del Qatar avrebbe beneficato la monarchia conservatrice sunnita dell'Arabia Saudita dandole un punto di appoggio nella Siria sciita. L’obiettivo geopolitico saudita è quello di contenere il potere economico e politico del rivale del regno principale, l'Iran, uno stato sciita, e stretto alleato di Bashar Assad. La monarchia saudita ha visto il cambio di governo sciita sponsorizzato dagli USA in Iraq (e, più recentemente, la cessazione dell'embargo commerciale all’Iran) come una retrocessione per il suo status di potenza regionale e si è già impegnato in una guerra per procura contro Teheran in Yemen, evidenziato dal genocidio saudita contro la tribù Houthi sostenuta dall’Iran.
Naturalmente, i russi, che vendono il 70 per cento delle loro esportazioni di gas verso l'Europa, hanno visto il ​​gasdotto Qatar / Turchia come una minaccia esistenziale. Secondo Putin, il gasdotto del Qatar è un complotto della NATO per cambiare lo status quo, privare la Russia del suo unico punto d'appoggio in Medio Oriente, strangolare l'economia russa e porre fine all’influenza russa nel mercato europeo dell'energia. Nel 2009, Assad aveva annunciato che si sarebbe rifiutato di firmare l'accordo per permettere al gasdotto di correre attraverso la Siria "per proteggere gli interessi del nostro alleato russo."

Assad ulteriormente fece infuriare i monarchi sunniti del Golfo, approvando un "gasdotto islamico" approvato dalla Russia che attraversava parte dei giacimenti di gas dell'Iran attraverso la Siria e fino ai porti del Libano. Il gasdotto islamico avrebbe reso l'Iran sciita, non il sunnita Qatar, il principale fornitore per il mercato europeo dell'energia e aumentare notevolmente l'influenza di Teheran in Medio Oriente e nel mondo. Anche Israele era comprensibilmente determinato a far deragliare il gasdotto islamico, che avrebbe arricchito l'Iran e la Siria e, presumibilmente, rafforzato i loro delegati, Hezbollah e Hamas.

Messaggi segreti e rapporti degli Stati Uniti, dell'Arabia Saudita e dei servizi segreti israeliani indicano che nel momento in cui Assad respinse i pianificatori militari e investigativi del gasdotto del Qatar rapidamente si arrivò al consenso che fomentare una rivolta sunnita in Siria per rovesciare il non collaborativo Bashar Assad era un percorso fattibile per raggiungere l'obiettivo condiviso di completare il collegamento di gas del Qatar / Turchia. Nel 2009, secondo WikiLeaks, subito dopo che Bashar Assad aveva respinto la pipeline del Qatar, la CIA iniziò a finanziare i gruppi di opposizione in Siria. È importante notare che questo accadde ben prima della rivolta della primavera araba contro Assad.

La famiglia di Bashar Assad è alawita, una setta musulmana ampiamente percepita come allineata con il campo sciita. "Bashar Assad non è mai stato destinato alla carica di presidente", mi ha detto in un'intervista il giornalista Seymour Hersh. "Suo padre lo fece ritornare da Londra, dove studiava Medicina, quando il fratello maggiore, l'erede vero, morì in un incidente d'auto." Prima dell'inizio della guerra, secondo Hersh, Assad lavorava per liberalizzare il paese. “C’erano internet e giornali e sportelli bancomat e Assad intendeva muoversi verso l’occidente. Dopo l’11 Settembre 2001, consegnò migliaia di informazioni preziose per la CIA sui radicali jihadisti, che egli considerava un nemico comune.” Il regime di Assad è stato volutamente laico e la Siria è stata straordinariamente diversa. Il governo siriano e i militari, per esempio, erano formati per l'80 per cento da sunniti. Assad manteneva la pace tra i suoi popoli diversi tramite un forte e disciplinato esercito fedele alla famiglia Assad, una fedeltà assicurata da un corpo di ufficiali a livello nazionale stimato e ben pagato, un apparato investigativo freddamente efficiente e una inclinazione per la brutalità che, prima della guerra, era piuttosto moderata rispetto a quella di altri capi in Medio Oriente, tra cui i nostri alleati attuali. Secondo Hersh, “Di certo non decapitava le persone ogni mercoledì, come i sauditi fanno alla Mecca”.
Un altro veterano del giornalismo, Bob Parry, fa eco a quella valutazione. “Nessuno nella regione ha le mani pulite, ma nei regni della tortura, uccisioni di massa, [soppressione] di libertà civili e terrorismo di supporto, Assad è molto meglio dei sauditi.” Nessuno credeva che il regime fosse vulnerabile all'anarchia che aveva lacerato l’Egitto, la Libia, Yemen e Tunisia. Entro la primavera del 2011, ci furono piccole, manifestazioni pacifiche a Damasco contro la repressione da parte del regime di Assad. Questi erano principalmente gli effluvi della primavera araba che si era diffusa viralmente attraverso la Lega degli Stati Arabi l'estate precedente. Tuttavia, i documenti WikiLeaks indicano che la CIA era già operativa sul terreno in Siria.
Ma i regni sunniti con vaste riserve di petrodollari in gioco volevano un coinvolgimento molto più profondo da parte dell'America. Il 4 settembre 2013, il Segretario di Stato John Kerry disse in un’audizione al Congresso che i regni sunniti si erano offerti di pagare il conto per l'invasione statunitense della Siria per spodestare Bashar Assad. “In effetti, alcuni di loro dissero che se gli Stati Uniti sono pronti ad andare a fare tutto da soli, come abbiamo fatto in precedenza in altri luoghi [Iraq], dovranno sopportare il costo.” Kerry ribadì l'offerta alla deputata repubblicana della Florida Ileana Ros-Lehtinen: “Per quanto riguarda i paesi arabi che propongono di sostenere i costi di [un'invasione americana] per rovesciare Assad, la risposta è profondamente sì. L'offerta è sul tavolo. "
Nonostante le pressioni dei repubblicani, Barack Obama scoraggiò l’impiego di giovani americani da mandare a morire come mercenari per un conglomerato di gasdotti. Obama saggiamente ignorò la richiesta a gran voce dei repubblicani di mandare truppe di terra in Siria o per incanalare maggiori finanziamenti per “gli insorti moderati.” Ma entro la fine del 2011, la pressione repubblicana e dei nostri alleati sunniti aveva spinto il governo americano nella mischia.
Nel 2011, agli Stati Uniti si unirono Francia, Qatar, Arabia Saudita, Turchia e Regno Unito per formare la coalizione “Amici della Siria”, che chiese formalmente la rimozione di Assad. La CIA fornì 6 milioni di $ a Barada, un canale televisivo britannico, per la produzione di servizi che imploravano la cacciata di Assad. Documenti dei servizi segreti sauditi, pubblicati da Wikileaks, mostrano che dal 2012, la Turchia, il Qatar e l'Arabia Saudita armavano, addestravano e finanziavano i combattenti radicali sunniti jihadisti provenienti da Siria, Iraq e altrove, per rovesciare il regime di Assad alleato degli sciiti. Il Qatar, che aveva più degli altri da guadagnare, investì $ 3 miliardi nella costruzione dell'insurrezione e invitò il Pentagono per addestrare gli insorti presso le basi statunitensi in Qatar. Secondo un articolo del mese di aprile 2014 di Seymour Hersh, le vie di rifornimento delle armi della CIA furono finanziate dalla Turchia, dall’Arabia Saudita e dal Qatar.
L'idea di fomentare una guerra civile tra sunniti e sciiti per indebolire i regimi siriano e iraniano, al fine di mantenere il controllo delle forniture petrolchimiche della regione non era un’idea di romanzo nel lessico del Pentagono. Un maledetto rapporto del 2008 per il Pentagono finanziato dalla Rand proponeva un progetto preciso per quello che stava per accadere. Il rapporto osservava che il controllo del gas e dei giacimenti di petrolio del Golfo Persico rimarrà, per gli Stati Uniti, “una priorità strategica” che "interagirà fortemente con quella di perseguire la lunga guerra.” Rand raccomandava l'utilizzo di “azioni segrete, operazioni di informazione, guerra non convenzionale” per imporre una “strategia divide et impera”. “Gli Stati Uniti e i suoi alleati locali potrebbero utilizzare i jihadisti nazionalisti per lanciare una campagna per procura” e “i dirigenti degli Stati Uniti potrebbero anche scegliere di trarre vantaggi appoggiando la traiettoria del conflitto tra sciiti e sunniti, prendendo posizione a favore dei regimi sunniti conservatori contro i movimenti di risveglio sciita nel mondo musulmano ... possibilmente aiutando i governi sunniti autoritari contro un Iran continuamente ostile.”
Come previsto, la reazione eccessiva di Assad alla crisi di fabbricazione straniera – sganciamento di bombe a botte sulle roccaforti sunnite che causò la morte di civili – polarizzò la divisione tra sciiti / sunniti della Siria e permise ai responsabili politici degli Stati Uniti di vendere agli americani l'idea che la guerra per il gasdotto era una guerra umanitaria. Quando i soldati sunniti dell'esercito siriano cominciarono a disertare nel 2013, la coalizione occidentale armò l'esercito siriano libero per destabilizzare ulteriormente la Siria. Il ritratto fatto dalla stampa del Free Syrian Army (l’Esercito Libero Siriano) come battaglioni coesi dei moderati siriani era allucinantee. Le unità disciolte si raggrupparono in centinaia di milizie indipendenti la maggior parte dei quali erano comandate da, o alleati con i militanti jihadisti, che erano i combattenti più impegnati ed efficaci. Da allora, gli eserciti sunniti di Al Qaeda in Iraq attraversarono il confine dall'Iraq in Siria e si unirono alle altre forze con gli squadroni di disertori dell'esercito siriano libero, molti dei quali addestrati e armati dagli Stati Uniti.
Nonostante la prevalente descrizione fatta dalla stampa di una rivolta araba moderata contro il tiranno Assad, i pianificatori della CIA americana sapevano fin dall'inizio che i loro addetti al gasdotto erano jihadisti radicali che probabilmente si sarebbero ritagliato un nuovo califfato islamico dalle regioni sunnite di Siria e Iraq. Due anni prima i tagliatori di gola dell’ ISIL fecero un passo sulla scena mondiale, uno studio di sette pagine del 12 Agosto 2012, redatto dalla Defense Intelligence Agency statunitense, ottenuto dal gruppo di destra Judicial Watch, avvertiva che, grazie al sostegno continuo da parte degli Stati Uniti e della Coalizione sunnita a favore dei jihadisti sunniti radicali, “i salafiti, i Fratelli musulmani e AQI (ora ISIS), sono le principali forze motrici della rivolta in Siria.”

Utilizzando il finanziamento degli Stati Uniti e degli stati del Golfo, questi gruppi avevano trasformato le proteste pacifiche contro Bashar Assad verso “una chiara, direzione settaria (sciiti contro sunniti)”. Il documento osserva che il conflitto era diventato una guerra civile settaria sostenuta da potenze “religiose e politiche sunnite”. Il rapporto dipinge il conflitto siriano come una guerra globale per il controllo delle risorse della regione con “l'Occidente, i paesi del Golfo e la Turchia a sostegno dell'opposizione [di Assad], mentre la Russia, la Cina e l'Iran sostengono il regime”. Gli autori del rapporto di sette pagine del Pentagono sembrano approvare l'avvento previsto del califfato ISIS: “Se la situazione si dipana, vi è la possibilità di stabilire un principato salafita dichiarato o non dichiarato nella parte orientale della Siria (Hasaka e Der Zor) e questo è esattamente ciò che le potenze sostenitrici dell'opposizione vogliono al fine di isolare il regime siriano”. Il rapporto del Pentagono avverte che questo nuovo principato poteva muoversi attraverso il confine iracheno verso Mosul e Ramadi e “dichiarare uno stato islamico attraverso la sua unione con le altre organizzazioni terroristiche in Iraq e la Siria.”
Naturalmente, questo è precisamente quanto è successo. Non a caso, le regioni della Siria occupate dallo Stato Islamico esattamente comprendono l'itinerario proposto del gasdotto del Qatar.
Ma poi, nel 2014, i nostri delegati sunniti atterrirono il ​​popolo americano tagliando teste e mandando un milione di rifugiati verso l'Europa. "Le strategie basate sull'idea che il nemico del mio nemico è mio amico può essere una specie di accecamento", dice Tim Clemente, che presiedette il Joint Terrorism Task Force dell'FBI dal 2004 al 2008 e servì da collegamento in Iraq tra l'FBI, la polizia di Stato irachena e l'esercito americano. “Abbiamo fatto lo stesso errore quando addestrammo i mujaheddin in Afghanistan. Nel momento in cui i russi se ne andarono, i nostri presunti amici iniziarono  a distruggere le antichità, schiavizzarono le donne, mutilavano i corpi e sparavano contro di noi”, mi disse Clemente in un'intervista.
Quando il famoso “Jihadi John” dello Stato Islamico cominciò a uccidere i prigionieri in TV, la Casa Bianca girò i tacchi e parlò sempre meno di deporre Assad e di più di stabilità regionale. L'amministrazione Obama cominciò a prendere le distanze tra sé e l'insurrezione che avevamo finanziato. La Casa Bianca puntò il dito accusatore verso i nostri alleati. Il 3 ottobre 2014, il vice Presidente Joe Biden disse agli studenti al John F. Kennedy Jr. forum presso l'Istituto di Politica ad Harvard che”i nostri alleati nella regione erano il nostro problema più grande in Siria.” Spiegò che la Turchia, l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti erano “così determinati ad abbattere Assad” che avevano lanciato una “guerra per procura tra sunniti e sciiti” convogliando “centinaia di milioni di dollari e decine di migliaia di tonnellate di armi in tutti coloro che avrebbero lottato contro Assad, tranne al-Nusra, e al-Qaeda” - i due gruppi che si sono fusi nel 2014 per formare lo Stato islamico. Biden sembrava irritato del fatto che i nostri “amici” fidati non potevano essere affidabili per seguire l’ordine del giorno degli Stati Uniti.
In tutto il Medio Oriente, i capi arabi ripetutamente accusano gli Stati Uniti di aver creato lo Stato islamico. Per la maggior parte degli americani, tali accuse sembrano folli. Tuttavia, per molti arabi, la prova del coinvolgimento degli Stati Uniti è così abbondante che essi concludono che il nostro ruolo nel promuovere lo Stato Islamico deve essere stato intenzionale.
In effetti, molti dei combattenti dello Stato Islamico e i loro comandanti sono da un punto di vista ideologico e organizzativo i successori  dei jihadisti che la CIA aveva alimentato per più di 30 anni dalla Siria e dall’Egitto fino all’Afghanistan e all’Iraq.

Prima dell'invasione americana, non c'era Al Qaeda nell’Iraq di Saddam Hussein. Il presidente George W. Bush distrusse il governo laico di Saddam, e il suo viceré, Paul Bremer, in un atto monumentale di cattiva gestione, di fatto creò l'esercito sunnita, ora chiamato Stato Islamico. Bremer portò gli sciiti al potere e proibì il Partito Ba’ath di Saddam, licenziando circa 700.000 persone in maggioranza sunnite, funzionari di governo, di partito, ministri e insegnanti. Poi smobilitò l'esercito formato da circa 380.000- uomini, che erano sunniti all'80 per cento. Le decisioni di Bremer spogliarono un milione di sunniti iracheni di rango, privandoli della proprietà, della ricchezza e del potere, lasciando una sottoclasse disperata di sunniti arrabbiati, istruiti, capaci, addestrati e armati fino ai denti con poco da perdere. L'insurrezione sunnita in Iraq prese il nome di Al Qaeda. A partire dal 2011, i nostri alleati finanziarono l'invasione dei combattenti qaedisti in Siria. Nel mese di aprile 2013, dopo essere entrati in Siria, Al Qaeda cambiò nome in ISIL. Secondo Dexter Filkins del New Yorker, “l’ISIS è gestito da un consiglio di ex generali iracheni. ... Molti sono membri del partito laico Baath di Saddam Hussein, convertiti all'Islam radicale nelle prigioni americane”. I $ 500 milioni in aiuti militari degli Stati Uniti che Obama inviò in Siria quasi certamente finirono per beneficiare questi jihadisti militanti. Tim Clemente, ex presidente della unità militare congiunta del FBI, mi disse che la differenza tra i conflitti in Iraq e in Siria sono i milioni di uomini in età militare che fuggono il campo di battaglia per in Europa, piuttosto che stare a lottare per le loro comunità. La spiegazione ovvia è che i moderati della nazione fuggono una guerra che non è la loro guerra. Essi vogliono semplicemente evitare di essere schiacciati tra l'incudine della tirannia di Assad appoggiata dalla Russia e il martello immorale sunnita jihadista che abbiamo impugnato in una battaglia globale per gli oleodotti concorrenti. Non si può incolpare il popolo siriano per non aver ampiamente abbracciato un progetto per la loro nazione coniato o a Washington o a Mosca. Le superpotenze non hanno lasciato opzioni per un futuro idealistico per cui i moderata siriani avrebbero potuto considerare di lottare. E nessuno vuole morire per un oleodotto.
* * *
Qual è la risposta? Se il nostro obiettivo è la pace a lungo termine in Medio Oriente, l'autogoverno da parte delle nazioni arabe e la loro sicurezza nazionale, dobbiamo pensare qualche nuovo intervento nella regione con un occhio alla storia e un intenso desiderio di imparare la lezione. Solo quando noi americani comprenderemo il contesto storico e politico di questo conflitto potremo applicare gli opportuni controlli alle decisioni dei nostri capi. Utilizzando le stesse immagini e il linguaggio che sostenne la nostra guerra del 2003 contro Saddam Hussein, i nostri dirigenti politici hanno portato gli americani a credere che il nostro intervento in Siria sia una guerra idealistica contro la tirannia, il terrorismo e il fanatismo religioso. Tendiamo a liquidare come mero cinismo le opinioni di quegli arabi che vedono la crisi attuale come una replica delle stesse vecche trame sugli oleodotti e la geopolitica. Ma, se vogliamo avere una politica estera efficace, dobbiamo riconoscere che il conflitto siriano è una guerra per il controllo delle risorse indistinguibile dalla miriade di guerre clandestine e non dichiarate per il petrolio che abbiamo combattuto in Medio Oriente per 65 anni. E solo quando vedremo questo conflitto come una guerra per procura per un oleodotto renderemo gli eventi comprensibili. È l'unico paradigma che spiega perché il Partito Repubblicano e l'amministrazione Obama sono ancora fissati su un cambiamento di regime, piuttosto che sulla stabilità della regione, perché l'amministrazione Obama non può trovare moderati siriani disposti a combattere la guerra, perché l’ISIL ha fatto saltare in aria un aereo russo con passeggeri a bordo, perché i sauditi hanno appena decapitato un potente religioso sciita solo per farsi bruciare la loro ambasciata a Teheran, perché la Russia sta bombardando i combattenti che non appartengono all’ ISIL e perché la Turchia ha violato le regole abbattendo un jet russo. Il milione di profughi che sta inondando l’Europa sono profughi di un oleodotto e di una guerra condotta alla cieca dalla CIA.

Clemente paragona l’ISIL alle FARC della Colombia - un cartello della droga con un'ideologia rivoluzionaria per ispirare i suoi guerriglieri. “Bisogna pensare a ISIS come a un cartello del petrolio”, ha detto Clemente. “Alla fine, il denaro è la logica di governo. L'ideologia religiosa è uno strumento che ispira i suoi soldati a dare la vita per un cartello petrolifero”.
Una volta che spogliamo questo conflitto della sua patina umanitaria e riconosciamo il conflitto siriano come una guerra per il petrolio, la nostra strategia di politica estera diventa chiara. Come i siriani in fuga verso l'Europa, nessun americano vuole mandare i propri figli a morire per un oleodotto. Invece, la nostra prima priorità dovrebbe essere quella che nessuno menziona mai - dobbiamo dare un calcio ai nostri legami col petrolio in Medio Oriente, un obiettivo sempre più realizzabile, quando gli Stati Uniti diventeranno più indipendenti in tema di energia. Quindi, abbiamo bisogno di ridurre drasticamente il nostro profilo militare in Medio Oriente e lasciare che gli arabi governino l’Arabia. Oltre che gli aiuti umanitari e la garanzia della sicurezza dei confini di Israele, gli Stati Uniti non hanno alcun ruolo legittimo in questo conflitto. Mentre i fatti dimostrano che abbiamo giocato un ruolo nella creazione della crisi, la storia dimostra che abbiamo poco potere per risolverlo.
Contemplando la storia, ci lascia senza fiato considerare la consistenza sorprendente con cui praticamente ogni intervento violento in Medio Oriente, fin dalla Seconda Guerra Mondial, e da parte del nostro Paese ha portato a miserabili fallimenti e a contraccolpi terribilmente costosi. Un rapporto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti del 1997 ha rilevato che “i dati mostrano una forte correlazione tra il coinvolgimento degli Stati Uniti all'estero e un aumento degli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti”. Diciamolo chiaro; ciò che noi chiamiamo la “guerra al terrore” è in realtà solo un'altra guerra del petrolio. Abbiamo sprecato $ 6.000.000.000.000 (trilioni) su tre guerre all'estero e sulla costruzione di uno stato di guerra per la sicurezza nazionale fin da quando il petroliere Dick Cheney dichiarò la "Lunga Guerra" nel 2001. Gli unici vincitori sono stati gli appaltatori militari e le compagnie petrolifere che hanno intascato profitti storici, le agenzie investigative che sono cresciute in modo esponenziale in potere e influenza a scapito delle nostre libertà e dei jihadisti che hanno usato sempre i nostri interventi come strumento di reclutamento più efficace. Noi abbiamo compromesso i nostri valori, massacrato la nostra gioventù, ucciso centinaia di migliaia di persone innocenti, sovvertito il nostro idealismo e sperperato i nostri tesori nazionali in avventure inutili e costose all'estero. Mentre facevamo questo, abbiamo aiutato i nostri peggiori nemici e trasformato l'America, una volta faro al mondo di libertà, in uno stato di sorveglianza della sicurezza nazionale e un paria morale internazionale.

I padri fondatori dell'America misero in guardia gli americani contro gli eserciti permanenti, i coinvolgimenti stranieri e, nelle parole di John Quincy Adams, contro la tendenza di “andare all'estero in cerca di mostri da distruggere”. Quegli uomini saggi avevano capito che l'imperialismo all'estero è incompatibile con la democrazia e i diritti civili all’interno. Alla Carta Atlantica ha fatto eco il loro ideale seminale americano che ogni nazione dovrebbe avere il diritto all'autodeterminazione. Nel corso degli ultimi sette decenni, i fratelli Dulles, la banda Cheney, i neoconservatori e i loro simili hanno dirottato tale principio fondamentale dell'idealismo americano e messo in campo il nostro apparato militare e investigativo per servire gli interessi mercantili delle grandi imprese e, in particolare, le compagnie petrolifere e gli imprenditori militari che hanno letteralmente fatto una strage mediante questi conflitti.
È il momento per gli americani di portare l'America fuori da questo nuovo imperialismo e di riportarla sul sentiero dell’idealismo e della democrazia. Dobbiamo lasciare che gli arabi governino l’Arabia e rivolgere le nostre energie per il grande tentativo della costruzione della nazione a casa nostra. Abbiamo bisogno di iniziare questo processo, non invadendo la Siria, ma ponendo fine alla dipendenza rovinosa dal petrolio che ha distorto la politica estera degli Stati Uniti per mezzo secolo. 


Robert F. Kennedy, Jr. è il presidente di Waterkeeper Alliance. Il suo libro più recente è Thimerosal: Let The Science Speak.

(Traduzione di Diego Siragusa)

(Fonte: http://www.politico.eu/article/why-the-arabs-dont-want-us-in-syria-mideast-conflict-oil-intervention/


ENGLISH VERSION

By     ROBERT F. KENNEDY, JR



They don’t hate ‘our freedoms.’ They hate that we’ve betrayed our ideals in their own countries — for oil.

 2/23/16

In part because my father was murdered by an Arab, I’ve made an effort to understand the impact of U.S. policy in the Mideast and particularly the factors that sometimes motivate bloodthirsty responses from the Islamic world against our country. As we focus on the rise of the Islamic State and search for the source of the savagery that took so many innocent lives in Paris and San Bernardino, we might want to look beyond the convenient explanations of religion and ideology. Instead we should examine the more complex rationales of history and oil — and how they often point the finger of blame back at our own shores.

America’s unsavory record of violent interventions in Syria — little-known to the American people yet well-known to Syrians — sowed fertile ground for the violent Islamic jihadism that now complicates any effective response by our government to address the challenge of ISIL. So long as the American public and policymakers are unaware of this past, further interventions are likely only to compound the crisis. Secretary of State John Kerry this week announced a “provisional” ceasefire in Syria. But since U.S. leverage and prestige within Syria is minimal — and the ceasefire doesn’t include key combatants such as Islamic State and al Nusra — it’s bound to be a shaky truce at best. Similarly President Obama’s stepped-up military intervention in Libya — U.S. airstrikes targeted an Islamic State training camp last week — is likely to strengthen rather than weaken the radicals. As the New York Times reported in a December 8, 2015, front-page story, Islamic State political leaders and strategic planners are working to provoke an American military intervention. They know from experience this will flood their ranks with volunteer fighters, drown the voices of moderation and unify the Islamic world against America.
To understand this dynamic, we need to look at history from the Syrians’ perspective and particularly the seeds of the current conflict. Long before our 2003 occupation of Iraq triggered the Sunni uprising that has now morphed into the Islamic State, the CIA had nurtured violent jihadism as a Cold War weapon and freighted U.S./Syrian relationships with toxic baggage.

 This did not happen without controversy at home. In July 1957, following a failed coup in Syria by the CIA, my uncle, Sen. John F. Kennedy, infuriated the Eisenhower White House, the leaders of both political parties and our European allies with a milestone speech endorsing the right of self-governance in the Arab world and an end to America’s imperialist meddling in Arab countries. Throughout my lifetime, and particularly during my frequent travels to the Mideast, countless Arabs have fondly recalled that speech to me as the clearest statement of the idealism they expected from the U.S. Kennedy’s speech was a call for recommitting America to the high values our country had championed in the Atlantic Charter; the formal pledge that all the former European colonies would have the right to self-determination following World War II. Franklin D. Roosevelt had strong-armed Winston Churchill and the other allied leaders to sign the Atlantic Charter in 1941 as a precondition for U.S. support in the European war against fascism.

But thanks in large part to Allen Dulles and the CIA, whose foreign policy intrigues were often directly at odds with the stated policies of our nation, the idealistic path outlined in the Atlantic Charter was the road not taken. In 1957, my grandfather, Ambassador Joseph P. Kennedy, sat on a secret committee charged with investigating the CIA’s clandestine mischief in the Mideast. The so called “Bruce-Lovett Report,” to which he was a signatory, described CIA coup plots in Jordan, Syria, Iran, Iraq and Egypt, all common knowledge on the Arab street, but virtually unknown to the American people who believed, at face value, their government’s denials. The report blamed the CIA for the rampant anti-Americanism that was then mysteriously taking root “in the many countries in the world today.” The Bruce-Lovett Report pointed out that such interventions were antithetical to American values and had compromised America’s international leadership and moral authority without the knowledge of the American people. The report also said that the CIA never considered how we would treat such interventions if some foreign government were to engineer them in our country.

This is the bloody history that modern interventionists like George W. Bush, Ted Cruz and Marco Rubio miss when they recite their narcissistic trope that Mideast nationalists “hate us for our freedoms.” For the most part they don’t; instead they hate us for the way we betrayed those freedoms — our own ideals — within their borders.

* * *
For Americans to really understand what’s going on, it’s important to review some details about this sordid but little-remembered history. During the 1950s, President Eisenhower and the Dulles brothers — CIA Director Allen Dulles and Secretary of State John Foster Dulles — rebuffed Soviet treaty proposals to leave the Middle East a neutral zone in the Cold War and let Arabs rule Arabia. Instead, they mounted a clandestine war against Arab nationalism — which Allen Dulles equated with communism — particularly when Arab self-rule threatened oil concessions. They pumped secret American military aid to tyrants in Saudi Arabia, Jordan, Iraq and Lebanon favoring puppets with conservative Jihadist ideologies that they regarded as a reliable antidote to Soviet Marxism. At a White House meeting between the CIA’s director of plans, Frank Wisner, and John Foster Dulles, in September 1957, Eisenhower advised the agency, “We should do everything possible to stress the ‘holy war’ aspect,” according to a memo recorded by his staff secretary, Gen. Andrew J. Goodpaster.

The CIA began its active meddling in Syria in 1949 — barely a year after the agency’s creation. Syrian patriots had declared war on the Nazis, expelled their Vichy French colonial rulers and crafted a fragile secularist democracy based on the American model. But in March 1949, Syria’s democratically elected president, Shukri-al-Quwatli, hesitated to approve the Trans-Arabian Pipeline, an American project intended to connect the oil fields of Saudi Arabia to the ports of Lebanon via Syria. In his book, Legacy of Ashes, CIA historian Tim Weiner recounts that in retaliation for Al-Quwatli’s lack of enthusiasm for the U.S. pipeline, the CIA engineered a coup replacing al-Quwatli with the CIA’s handpicked dictator, a convicted swindler named Husni al-Za’im. Al-Za’im barely had time to dissolve parliament and approve the American pipeline before his countrymen deposed him, four and a half months into his regime.

Following several counter-coups in the newly destabilized country, the Syrian people again tried democracy in 1955, re-electing al-Quwatli and his National Party. Al-Quwatli was still a Cold War neutralist, but, stung by American involvement in his ouster, he now leaned toward the Soviet camp. That posture caused CIA Director Dulles to declare that “Syria is ripe for a coup” and send his two coup wizards, Kim Roosevelt and Rocky Stone, to Damascus.
Two years earlier, Roosevelt and Stone had orchestrated a coup in Iran against the democratically elected President Mohammed Mosaddegh, after Mosaddegh tried to renegotiate the terms of Iran’s lopsided contracts with the British oil giant Anglo-Iranian Oil Company (now BP). Mosaddegh was the first elected leader in Iran’s 4,000-year history and a popular champion for democracy across the developing world. Mosaddegh expelled all British diplomats after uncovering a coup attempt by U.K. intelligence officers working in cahoots with BP. Mosaddegh, however, made the fatal mistake of resisting his advisers’ pleas to also expel the CIA, which, they correctly suspected, was complicit in the British plot. Mosaddegh idealized the U.S. as a role model for Iran’s new democracy and incapable of such perfidies. Despite Dulles’ needling, President Harry Truman had forbidden the CIA from actively joining the British caper to topple Mosaddegh. When Eisenhower took office in January 1953, he immediately unleashed Dulles. After ousting Mosaddegh in “Operation Ajax,” Stone and Roosevelt installed Shah Reza Pahlavi, who favored U.S. oil companies but whose two decades of CIA sponsored savagery toward his own people from the Peacock throne would finally ignite the 1979 Islamic revolution that has bedeviled our foreign policy for 35 years.
Flush from his Operation Ajax “success” in Iran, Stone arrived in Damascus in April 1957 with $3 million to arm and incite Islamic militants and to bribe Syrian military officers and politicians to overthrow al-Quwatli’s democratically elected secularist regime, according to Safe for Democracy: The Secret Wars of the CIA, by John Prados. Working with the Muslim Brotherhood and millions of dollars, Rocky Stone schemed to assassinate Syria’s chief of intelligence, the chief of its General Staff and the chief of the Communist Party, and to engineer “national conspiracies and various strong arm” provocations in Iraq, Lebanon and Jordan that could be blamed on the Syrian Ba’athists. Tim Weiner describes in Legacy of Ashes how the CIA’s plan was to destabilize the Syrian government and create a pretext for an invasion by Iraq and Jordan, whose governments were already under CIA control. Kim Roosevelt forecast that the CIA’s newly installed puppet government would “rely first upon repressive measures and arbitrary exercise of power,” according to declassified CIA documents reported in The Guardian newspaper.
But all that CIA money failed to corrupt the Syrian military officers. The soldiers reported the CIA’s bribery attempts to the Ba’athist regime. In response, the Syrian army invaded the American Embassy, taking Stone prisoner. After harsh interrogation, Stone made a televised confession of his roles in the Iranian coup and the CIA’s aborted attempt to overthrow Syria’s legitimate government. The Syrians ejected Stone and two U.S. Embassy staffers—the first time any American State Department diplomat was barred from an Arab country. The Eisenhower White House hollowly dismissed Stone’s confession as “fabrications” and “slanders,” a denial swallowed whole by the American press, led by the New York Times and believed by the American people, who shared Mosaddegh’s idealistic view of their government. Syria purged all politicians sympathetic to the U.S. and executed for treason all military officers associated with the coup. In retaliation, the U.S. moved the Sixth Fleet to the Mediterranean, threatened war and goaded Turkey to invade Syria. The Turks assembled 50,000 troops on Syria’s borders and backed down only in the face of unified opposition from the Arab League whose leaders were furious at the U.S. intervention. Even after its expulsion, the CIA continued its secret efforts to topple Syria’s democratically elected Ba’athist government. The CIA plotted with Britain’s MI6 to form a “Free Syria Committee” and armed the Muslim Brotherhood to assassinate three Syrian government officials, who had helped expose “the American plot,” according to Matthew Jones in “The ‘Preferred Plan’: The Anglo-American Working Group Report on Covert Action in Syria, 1957.” The CIA’s mischief pushed Syria even further away from the U.S. and into prolonged alliances with Russia and Egypt.
Following the second Syrian coup attempt, anti-American riots rocked the Mideast from Lebanon to Algeria. Among the reverberations was the July 14, 1958 coup, led by the new wave of anti-American Army officers who overthrew Iraq’s pro-American monarch, Nuri al-Said. The coup leaders published secret government documents, exposing Nuri al-Said as a highly paid CIA puppet. In response to American treachery, the new Iraqi government invited Soviet diplomats and economic advisers to Iraq and turned its back on the West.
Having alienated Iraq and Syria, Kim Roosevelt fled the Mideast to work as an executive for the oil industry that he had served so well during his public service career at the CIA. Roosevelt’s replacement as CIA station chief, James Critchfield, attempted a failed assassination plot against the new Iraqi president using a toxic handkerchief, according to Weiner. Five years later, the CIA finally succeeded in deposing the Iraqi president and installing the Ba’ath Party in power in Iraq. A charismatic young murderer named Saddam Hussein was one of the distinguished leaders of the CIA’s Ba’athist team. The Ba’ath Party’s Secretary, Ali Saleh Sa’adi, who took office alongside Saddam Hussein, would later say, “We came to power on a CIA train,” according to A Brutal Friendship: The West and the Arab Elite, by Said Aburish, a journalist and author. Aburish recounted that the CIA supplied Saddam and his cronies a murder list of people who “had to be eliminated immediately in order to ensure success.” Tim Weiner writes that Critchfield later acknowledged that the CIA had, in essence, “created Saddam Hussein.” During the Reagan years, the CIA supplied Hussein with billions of dollars in training, Special Forces support, weapons and battlefield intelligence, knowing that he was using poisonous mustard and nerve gas and biological weapons — including anthrax obtained from the U.S. government — in his war against Iran. Reagan and his CIA director, Bill Casey, regarded Saddam as a potential friend to the U.S. oil industry and a sturdy barrier against the spread of Iran’s Islamic Revolution. Their emissary, Donald Rumsfeld, presented Saddam with golden cowboy spurs and a menu of chemical/biological and conventional weapons on a 1983 trip to Baghdad. At the same time, the CIA was illegally supplying Saddam’s enemy, Iran, with thousands of anti-tank and anti-aircraft missiles to fight Iraq, a crime made famous during the Iran-Contra scandal. Jihadists from both sides later turned many of those CIA-supplied weapons against the American people.
Even as America contemplates yet another violent Mideast intervention, most Americans are unaware of the many ways that “blowback” from previous CIA blunders has helped craft the current crisis. The reverberations from decades of CIA shenanigans continue to echo across the Mideast today in national capitals and from mosques to madras schools over the wrecked landscape of democracy and moderate Islam that the CIA helped obliterate.
A parade of Iranian and Syrian dictators, including Bashar al-Assad and his father, have invoked the history of the CIA’s bloody coups as a pretext for their authoritarian rule, repressive tactics and their need for a strong Russian alliance. These stories are therefore well known to the people of Syria and Iran who naturally interpret talk of U.S. intervention in the context of that history.
While the compliant American press parrots the narrative that our military support for the Syrian insurgency is purely humanitarian, many Arabs see the present crisis as just another proxy war over pipelines and geopolitics. Before rushing deeper into the conflagration, it would be wise for us to consider the abundant facts supporting that perspective.
In their view, our war against Bashar Assad did not begin with the peaceful civil protests of the Arab Spring in 2011. Instead it began in 2000, when Qatar proposed to construct a $10 billion, 1,500 kilometer pipeline through Saudi Arabia, Jordan, Syria and Turkey. Qatar shares with Iran the South Pars/North Dome gas field, the world’s richest natural gas repository. The international trade embargo until recently prohibited Iran from selling gas abroad. Meanwhile, Qatar’s gas can reach European markets only if it is liquefied and shipped by sea, a route that restricts volume and dramatically raises costs. The proposed pipeline would have linked Qatar directly to European energy markets via distribution terminals in Turkey, which would pocket rich transit fees. The Qatar/Turkey pipeline would give the Sunni kingdoms of the Persian Gulf decisive domination of world natural gas markets and strengthen Qatar, America’s closest ally in the Arab world. Qatar hosts two massive American military bases and the U.S. Central Command’s Mideast headquarters.
The EU, which gets 30 percent of its gas from Russia, was equally hungry for the pipeline, which would have given its members cheap energy and relief from Vladimir Putin’s stifling economic and political leverage. Turkey, Russia’s second largest gas customer, was particularly anxious to end its reliance on its ancient rival and to position itself as the lucrative transect hub for Asian fuels to EU markets. The Qatari pipeline would have benefited Saudi Arabia’s conservative Sunni monarchy by giving it a foothold in Shia-dominated Syria. The Saudis’ geopolitical goal is to contain the economic and political power of the kingdom’s principal rival, Iran, a Shiite state, and close ally of Bashar Assad. The Saudi monarchy viewed the U.S.-sponsored Shiite takeover in Iraq (and, more recently, the termination of the Iran trade embargo) as a demotion to its regional power status and was already engaged in a proxy war against Tehran in Yemen, highlighted by the Saudi genocide against the Iranian backed Houthi tribe.
Of course, the Russians, who sell 70 percent of their gas exports to Europe, viewed the Qatar/Turkey pipeline as an existential threat. In Putin’s view, the Qatar pipeline is a NATO plot to change the status quo, deprive Russia of its only foothold in the Middle East, strangle the Russian economy and end Russian leverage in the European energy market. In 2009, Assad announced that he would refuse to sign the agreement to allow the pipeline to run through Syria “to protect the interests of our Russian ally.”
Assad further enraged the Gulf’s Sunni monarchs by endorsing a Russian-approved “Islamic pipeline” running from Iran’s side of the gas field through Syria and to the ports of Lebanon. The Islamic pipeline would make Shiite Iran, not Sunni Qatar, the principal supplier to the European energy market and dramatically increase Tehran’s influence in the Middke East and the world. Israel also was understandably determined to derail the Islamic pipeline, which would enrich Iran and Syria and presumably strengthen their proxies, Hezbollah and Hamas.
Secret cables and reports by the U.S., Saudi and Israeli intelligence agencies indicate that the moment Assad rejected the Qatari pipeline, military and intelligence planners quickly arrived at the consensus that fomenting a Sunni uprising in Syria to overthrow the uncooperative Bashar Assad was a feasible path to achieving the shared objective of completing the Qatar/Turkey gas link. In 2009, according to WikiLeaks, soon after Bashar Assad rejected the Qatar pipeline, the CIA began funding opposition groups in Syria. It is important to note that this was well before the Arab Spring-engendered uprising against Assad.
Bashar Assad’s family is Alawite, a Muslim sect widely perceived as aligned with the Shiite camp. “Bashar Assad was never supposed to be president,” journalist Seymour Hersh told me in an interview. “His father brought him back from medical school in London when his elder brother, the heir apparent, was killed in a car crash.” Before the war started, according to Hersh, Assad was moving to liberalize the country. “They had internet and newspapers and ATM machines and Assad wanted to move toward the west. After 9/11, he gave thousands of invaluable files to the CIA on jihadist radicals, who he considered a mutual enemy.” Assad’s regime was deliberately secular and Syria was impressively diverse.
The Syrian government and military, for example, were 80 percent Sunni. Assad maintained peace among his diverse peoples by a strong, disciplined army loyal to the Assad family, an allegiance secured by a nationally esteemed and highly paid officer corps, a coldly efficient intelligence apparatus and a penchant for brutality that, prior to the war, was rather moderate compared to those of other Mideast leaders, including our current allies. According to Hersh, “He certainly wasn’t beheading people every Wednesday like the Saudis do in Mecca.”
Another veteran journalist, Bob Parry, echoes that assessment. “No one in the region has clean hands, but in the realms of torture, mass killings, [suppressing] civil liberties and supporting terrorism, Assad is much better than the Saudis.” No one believed that the regime was vulnerable to the anarchy that had riven Egypt, Libya, Yemen and Tunisia. By the spring of 2011, there were small, peaceful demonstrations in Damascus against repression by Assad’s regime. These were mainly the effluvia of the Arab Spring that spread virally across the Arab League States the previous summer. However, WikiLeaks cables indicate that the CIA was already on the ground in Syria.
But the Sunni kingdoms with vast petrodollars at stake wanted a much deeper involvement from America. On September 4, 2013, Secretary of State John Kerry told a congressional hearing that the Sunni kingdoms had offered to foot the bill for a U.S. invasion of Syria to oust Bashar Assad. “In fact, some of them have said that if the United States is prepared to go do the whole thing, the way we’ve done it previously in other places [Iraq], they’ll carry the cost.” Kerry reiterated the offer to Rep. Ileana Ros-Lehtinen (R-Fla.): “With respect to Arab countries offering to bear the costs of [an American invasion] to topple Assad, the answer is profoundly yes, they have. The offer is on the table.”
Despite pressure from Republicans, Barack Obama balked at hiring out young Americans to die as mercenaries for a pipeline conglomerate. Obama wisely ignored Republican clamoring to put ground troops in Syria or to funnel more funding to “moderate insurgents.” But by late 2011, Republican pressure and our Sunni allies had pushed the American government into the fray.
In 2011, the U.S. joined France, Qatar, Saudi Arabia, Turkey and the UK to form the Friends of Syria Coalition, which formally demanded the removal of Assad. The CIA provided $6 million to Barada, a British TV channel, to produce pieces entreating Assad’s ouster. Saudi intelligence documents, published by WikiLeaks, show that by 2012, Turkey, Qatar and Saudi Arabia were arming, training and funding radical jihadist Sunni fighters from Syria, Iraq and elsewhere to overthrow the Assad’s Shiite-allied regime. Qatar, which had the most to gain, invested $3 billion in building the insurgency and invited the Pentagon to train insurgents at U.S. bases in Qatar. According to an April 2014 article by Seymour Hersh, the CIA weapons ratlines were financed by Turkey, Saudi Arabia and Qatar.
The idea of fomenting a Sunni-Shiite civil war to weaken the Syrian and Iranian regimes in order to maintain control of the region’s petrochemical supplies was not a novel notion in the Pentagon’s lexicon. A damning 2008 Pentagon-funded Rand report proposed a precise blueprint for what was about to happen. That report observes that control of the Persian Gulf oil and gas deposits will remain, for the U.S., “a strategic priority” that “will interact strongly with that of prosecuting the long war.” Rand recommended using “covert action, information operations, unconventional warfare” to enforce a “divide and rule” strategy. “The United States and its local allies could use the nationalist jihadists to launch a proxy campaign” and “U.S. leaders could also choose to capitalize on the sustained Shia-Sunni conflict trajectory by taking the side of the conservative Sunni regimes against Shiite empowerment movements in the Muslim world … possibly supporting authoritative Sunni governments against a continuingly hostile Iran.”
As predicted, Assad’s overreaction to the foreign-made crisis — dropping barrel bombs onto Sunni strongholds and killing civilians — polarized Syria’s Shiite/Sunni divide and allowed U.S. policymakers to sell Americans the idea that the pipeline struggle was a humanitarian war. When Sunni soldiers of the Syrian Army began defecting in 2013, the western coalition armed the Free Syrian Army to further destabilize Syria. The press portrait of the Free Syrian Army as cohesive battalions of Syrian moderates was delusional. The dissolved units regrouped in hundreds of independent militias most of which were commanded by, or allied with, jihadi militants who were the most committed and effective fighters. By then, the Sunni armies of Al Qaeda in Iraq were crossing the border from Iraq into Syria and joining forces with the squadrons of deserters from the Free Syrian Army, many of them trained and armed by the U.S.
Despite the prevailing media portrait of a moderate Arab uprising against the tyrant Assad, U.S. intelligence planners knew from the outset that their pipeline proxies were radical jihadists who would probably carve themselves a brand new Islamic caliphate from the Sunni regions of Syria and Iraq. Two years before ISIL throat cutters stepped on the world stage, a seven-page August 12, 2012, study by the U.S. Defense Intelligence Agency, obtained by the right-wing group Judicial Watch, warned that thanks to the ongoing support by U.S./Sunni Coalition for radical Sunni Jihadists, “the Salafist, the Muslim Brotherhood and AQI (now ISIS), are the major forces driving the insurgency in Syria.”
Using U.S. and Gulf state funding, these groups had turned the peaceful protests against Bashar Assad toward “a clear sectarian (Shiite vs. Sunni) direction.” The paper notes that the conflict had become a sectarian civil war supported by Sunni “religious and political powers.” The report paints the Syrian conflict as a global war for control of the region’s resources with “the west, Gulf countries and Turkey supporting [Assad’s] opposition, while Russia, China and Iran support the regime.” The Pentagon authors of the seven-page report appear to endorse the predicted advent of the ISIS caliphate: “If the situation unravels, there is the possibility of establishing a declared or undeclared Salafist principality in eastern Syria (Hasaka and Der Zor) and this is exactly what the supporting powers to the opposition want in order to isolate the Syrian regime.” The Pentagon report warns that this new principality could move across the Iraqi border to Mosul and Ramadi and “declare an Islamic state through its union with other terrorist organizations in Iraq and Syria.”
Of course, this is precisely what has happened. Not coincidentally, the regions of Syria occupied by the Islamic State exactly encompass the proposed route of the Qatari pipeline.
But then, in 2014, our Sunni proxies horrified the American people by severing heads and driving a million refugees toward Europe. “Strategies based upon the idea that the enemy of my enemy is my friend can be kind of blinding,” says Tim Clemente, who chaired the FBI’s Joint Terrorism Task Force from 2004 to 2008 and served as liaison in Iraq between the FBI, the Iraqi National Police and the U.S. military. “We made the same mistake when we trained the mujahideen in Afghanistan. The moment the Russians left, our supposed friends started smashing antiquities, enslaving women, severing body parts and shooting at us,” Clemente told me in an interview.

When the Islamic State’s “Jihadi John” began murdering prisoners on TV, the White House pivoted, talking less about deposing Assad and more about regional stability. The Obama administration began putting daylight between itself and the insurgency we had funded. The White House pointed accusing fingers at our allies. On October 3, 2014, Vice President Joe Biden told students at the John F. Kennedy Jr. forum at the Institute of Politics at Harvard that “our allies in the region were our largest problem in Syria.” He explained that Turkey, Saudi Arabia and the UAE were “so determined to take down Assad” that they had launched a “proxy Sunni-Shia war” funneling “hundreds of millions of dollars and tens of thousands of tons of weapons into anyone who would fight against Assad. Except the people who were being supplied were al-Nusra, and al-Qaeda” — the two groups that merged in 2014 to form the Islamic State. Biden seemed angered that our trusted “friends” could not be trusted to follow the American agenda.
Across the Mideast, Arab leaders routinely accuse the U.S. of having created the Islamic State. To most Americans, such accusations seem insane. However, to many Arabs, the evidence of U.S. involvement is so abundant that they conclude that our role in fostering the Islamic State must have been deliberate.
In fact, many of the Islamic State fighters and their commanders are ideological and organizational successors to the jihadists that the CIA has been nurturing for more than 30 years from Syria and Egypt to Afghanistan and Iraq.
Prior to the American invasion, there was no Al Qaeda in Saddam Hussein’s Iraq. President George W. Bush destroyed Saddam’s secularist government, and his viceroy, Paul Bremer, in a monumental act of mismanagement, effectively created the Sunni Army, now named the Islamic State. Bremer elevated the Shiites to power and banned Saddam’s ruling Ba’ath Party, laying off some 700,000 mostly Sunni, government and party officials from ministers to schoolteachers. He then disbanded the 380,000-man army, which was 80 percent Sunni. Bremer’s actions stripped a million of Iraq’s Sunnis of rank, property, wealth and power; leaving a desperate underclass of angry, educated, capable, trained and heavily armed Sunnis with little left to lose. The Sunni insurgency named itself Al Qaeda in Iraq. Beginning in 2011, our allies funded the invasion by AQI fighters into Syria. In April 2013, having entered Syria, AQI changed its name to ISIL. According to Dexter Filkins of the New Yorker, “ISIS is run by a council of former Iraqi generals. … Many are members of Saddam Hussein’s secular Ba’ath Party who converted to radical Islam in American prisons.” The $500 million in U.S. military aid that Obama did send to Syria almost certainly ended up benefiting these militant jihadists. Tim Clemente, the former chairman of the FBI’s joint task force, told me that the difference between the Iraq and Syria conflicts is the millions of military-aged men who are fleeing the battlefield for Europe rather than staying to fight for their communities. The obvious explanation is that the nation’s moderates are fleeing a war that is not their war. They simply want to escape being crushed between the anvil of Assad’s Russian-backed tyranny and the vicious jihadist Sunni hammer that we had a hand in wielding in a global battle over competing pipelines. You can’t blame the Syrian people for not widely embracing a blueprint for their nation minted in either Washington or Moscow. The superpowers have left no options for an idealistic future that moderate Syrians might consider fighting for. And no one wants to die for a pipeline.

* * *
What is the answer? If our objective is long-term peace in the Mideast, self-government by the Arab nations and national security at home, we must undertake any new intervention in the region with an eye on history and an intense desire to learn its lessons. Only when we Americans understand the historical and political context of this conflict will we apply appropriate scrutiny to the decisions of our leaders. Using the same imagery and language that supported our 2003 war against Saddam Hussein, our political leaders led Americans to believe that our Syrian intervention is an idealistic war against tyranny, terrorism and religious fanaticism. We tend to dismiss as mere cynicism the views of those Arabs who see the current crisis as a rerun of the same old plots about pipelines and geopolitics. But, if we are to have an effective foreign policy, we must recognize the Syrian conflict is a war over control of resources indistinguishable from the myriad clandestine and undeclared oil wars we have been fighting in the Mideast for 65 years. And only when we see this conflict as a proxy war over a pipeline do events become comprehensible. It’s the only paradigm that explains why the GOP on Capitol Hill and the Obama administration are still fixated on regime change rather than regional stability, why the Obama administration can find no Syrian moderates to fight the war, why ISIL blew up a Russian passenger plane, why the Saudis just executed a powerful Shiite cleric only to have their embassy burned in Tehran, why Russia is bombing non-ISIL fighters and why Turkey went out of its way to shoot down a Russian jet. The million refugees now flooding into Europe are refugees of a pipeline war and CIA blundering.
Clemente compares ISIL to Colombia’s FARC — a drug cartel with a revolutionary ideology to inspire its footsoldiers. “You have to think of ISIS as an oil cartel,” Clemente said. “In the end, money is the governing rationale. The religious ideology is a tool that inspires its soldiers to give their lives for an oil cartel.”
Once we strip this conflict of its humanitarian patina and recognize the Syrian conflict as an oil war, our foreign policy strategy becomes clear. Like the Syrians fleeing for Europe, no American wants to send their child to die for a pipeline. Instead, our first priority should be the one no one ever mentions — we need to kick our Mideast oil jones, an increasingly feasible objective, as the U.S. becomes more energy independent. Next, we need to dramatically reduce our military profile in the Middle East and let the Arabs run Arabia. Other than humanitarian assistance and guaranteeing the security of Israel’s borders, the U.S. has no legitimate role in this conflict.
While the facts prove that we played a role in creating the crisis, history shows that we have little power to resolve it.
As we contemplate history, it’s breathtaking to consider the astonishing consistency with which virtually every violent intervention in the Middle East since World War II by our country has resulted in miserable failure and horrendously costly blowback. A 1997 U.S. Department of Defense report found that “the data show a strong correlation between U.S. involvement abroad and an increase in terrorist attacks against the U.S.” Let’s face it; what we call the “war on terror” is really just another oil war. We’ve squandered $6 trillion on three wars abroad and on constructing a national security warfare state at home since oilman Dick Cheney declared the “Long War” in 2001. The only winners have been the military contractors and oil companies that have pocketed historic profits, the intelligence agencies that have grown exponentially in power and influence to the detriment of our freedoms and the jihadists who invariably used our interventions as their most effective recruiting tool. We have compromised our values, butchered our own youth, killed hundreds of thousands of innocent people, subverted our idealism and squandered our national treasures in fruitless and costly adventures abroad. In the process, we have helped our worst enemies and turned America, once the world’s beacon of freedom, into a national security surveillance state and an international moral pariah.
America’s founding fathers warned Americans against standing armies, foreign entanglements and, in John Quincy Adams’ words, “going abroad in search of monsters to destroy.” Those wise men understood that imperialism abroad is incompatible with democracy and civil rights at home. The Atlantic Charter echoed their seminal American ideal that each nation should have the right to self-determination. Over the past seven decades, the Dulles brothers, the Cheney gang, the neocons and their ilk have hijacked that fundamental principle of American idealism and deployed our military and intelligence apparatus to serve the mercantile interests of large corporations and particularly, the petroleum companies and military contractors that have literally made a killing from these conflicts.
It’s time for Americans to turn America away from this new imperialism and back to the path of idealism and democracy. We should let the Arabs govern Arabia and turn our energies to the great endeavor of nation building at home. We need to begin this process, not by invading Syria, but by ending the ruinous addiction to oil that has warped U.S. foreign policy for half a century.

Robert F. Kennedy, Jr. is the president of Waterkeeper Alliance. His newest book is Thimerosal: Let The Science Speak.

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