lunedì 29 febbraio 2016

PERCHE' GLI ARABI NON CI VOGLIONO IN SIRIA?




Di Robert F. Kennedy, JR


Perché gli arabi non ci vogliono in Siria
Essi non odiano 'le nostre libertà.' Odiano che abbiamo tradito i nostri ideali 
nei loro paesi - per il petrolio.


In parte perché mio padre fu assassinato da un arabo, ho fatto uno sforzo per comprendere l'impatto della politica degli Stati Uniti in Medio Oriente e in particolare i fattori che motivano a volte le risposte sanguinarie del mondo islamico contro il nostro paese. Quando ci concentriamo sulla crescita dello Stato islamico e cerchiamo la fonte della barbarie che ha preso così tante vite innocenti a Parigi e a San Bernardino, dovremmo guardare al di là delle spiegazioni di comodo della religione e dell’ideologia. Invece dovremmo esaminare le più complesse logiche della storia e del petrolio - e come queste ,spesso, puntano il dito sulle nostre colpe passate.

Il primato sgradevole degli interventi violenti dell'America in Siria - poco conosciuto al popolo americano ma ancora ben noto ai siriani - ha seminato un terreno fertile per il jihadismo islamico violento che ora complica qualsiasi risposta efficace del nostro governo per affrontare la sfida di ISIL. Finché l'opinione pubblica e i politici americani non sono a conoscenza di questo passato, ulteriori interventi rischiano solo di aggravare la crisi. Il Segretario di Stato John Kerry questa settimana ha annunciato un cessate il fuoco "provvisorio" in Siria. Ma dal momento che l’influenza e il prestigio degli Stati Uniti all'interno della Siria sono al minimo - e il cessate il fuoco non riguarda i combattenti chiave come lo Stato islamico e al Nusra – esso è destinato ad essere una tregua al massimo traballante. Allo stesso modo l'intervento militare intensificato del presidente Obama in Libia – gli attacchi aerei degli Stati Uniti la scorsa settimana hanno preso di mira un campo di addestramento dello Stato islamico - è probabile che rafforzino, piuttosto che indebolire i radicali. Come ha riferito il New York Times in un articolo di prima pagina l’8 dicembre 2015, i capi politici e i pianificatori strategici dello stato islamico stanno lavorando per provocare un intervento militare americano. Essi sanno per esperienza che questo farà affluire nelle loro fila i combattenti volontari, soffocherà le voci dei moderati e unificherà il mondo islamico contro l'America.
Per capire questa dinamica, abbiamo bisogno di guardare la storia dal punto di vista dei siriani e in particolare i semi del conflitto in corso. Molto prima che la nostra occupazione dell'Iraq nel 2003 innescasse la rivolta sunnita che ormai si è trasformata in Stato Islamico, la CIA aveva nutrito un jihadismo violento come arma della guerra fredda e ha fatto viaggiare le relazioni USA/Siria con i bagagli tossici.

Questo non è avvenuto senza polemiche in casa. Nel mese di luglio 1957, in seguito a un fallito colpo di stato in Siria organizzato dalla CIA, mio ​​zio, il senatore John F. Kennedy, fece infuriare la Casa Bianca del Presidente Eisenhower, i capi di entrambi i partiti politici ed i nostri alleati europei con un discorso memorabile avallando il diritto all’autogoverno del mondo arabo e la fine delle ingerenze imperialiste degli Stati Uniti nei paesi arabi. Nel corso della mia vita, e in particolare durante i miei frequenti viaggi in Medio Oriente, innumerevoli arabi mi hanno affettuosamente ricordato quel discorso come la più chiara affermazione dell'idealismo che si aspettavano dal discorso di Kennedy; era un invito per impegnare di nuovo l'America ai valori alti che il ​​nostro paese aveva sostenuto nella Carta Atlantica; l'impegno formale che tutte le ex colonie europee avrebbero avuto il diritto all’auto-determinazione dopo la Seconda Guerra Mondiale. Franklin D. Roosevelt aveva armato notevolmente Winston Churchill e gli altri alleati per firmare la Carta Atlantica nel 1941 come condizione preliminare per il sostegno degli Stati Uniti nella guerra contro il fascismo europeo.
Ma grazie in gran parte ad Allen Dulles e alla CIA, la cui politica estera fatta di intrighi era spesso direttamente in contrasto con le politiche dichiarate della nostra nazione, il percorso idealista delineato nella Carta Atlantica non fu la strada intrapresa. Nel 1957, mio ​​nonno, l'ambasciatore Joseph P. Kennedy, sedeva in un comitato segreto incaricato di investigare i misfatti clandestini della CIA in Medio Oriente. Il cosiddetto "Rapporto Bruce-Lovett", del quale fu uno dei firmatari, descrisse i colpi di stato della CIA trame in Giordania, Siria, Iran, Iraq e in Egitto, fatti notoriamente conosciuti per le strade arabe, ma praticamente sconosciuti al popolo americano che credeva, come fossero oro colato, alle smentite del loro governo. Il rapporto incolpava la CIA per il dilagante antiamericanismo che stava poi misteriosamente prendendo piede "nei numerosi paesi nel mondo di oggi." Il Rapporto di Bruce-Lovett sottolineava che tali interventi erano antitetici ai valori americani e aveva compromesso la guida e l’autorità morale internazionale degli Stati Uniti senza che il popolo americano fosse informato. Il diceva anche che la CIA non aveva mai considerato il modo in cui avrebbe trattato tali interventi se qualche governo straniero dovesse applicarli nel nostro paese.
Questa è la storia sanguinosa che manca  ai moderni interventisti, come George W. Bush, Ted Cruz e Marco Rubio quando recitano il loro narcisistico luogo comune che i nazionalisti del Medio Oriente "ci odiano per le nostre libertà."In buona parte non è vero; invece ci odiano per il modo in cui abbiamo tradito tali libertà - i nostri ideali – dentro i loro confini.

* * *
Per gli americani che vogliono capire realmente cosa sta succedendo, è importante rivedere alcuni dettagli su questa storia sordida ma poco ricordata. Nel corso del 1950, il presidente Eisenhower e i fratelli Dulles – il direttore della CIA Allen Dulles e il Segretario di Stato John Foster Dulles – respinsero le proposte sovietiche di trattato per considerare il Medio Oriente una zona neutrale nella Guerra Fredda e lasciare che gli arabi governino l’Arabia. Invece, hanno montato una guerra clandestina contro il nazionalismo arabo - che Allen Dulles equiparò al comunismo - in particolare quando l'autogoverno arabo minacciò le concessioni petrolifere. Hanno pompato segreti aiuti militari americani ai tiranni in Arabia Saudita, Giordania, Iraq e Libano favorendo questi pupazzi con ideologie conservatrici jihadiste che essi consideravano come un antidoto affidabile al marxismo sovietico. In un incontro alla Casa Bianca tra il direttore dei piani della CIA Frank Wisner, e John Foster Dulles, nel settembre del 1957, Eisenhower consigliò all'agenzia: “Dobbiamo fare tutto il possibile per sottolineare l'aspetto di 'guerra santa'”, secondo una nota registrata dal suo segretario personale, il generale Andrew J. Goodpaster.

La CIA iniziò la sua ingerenza attiva in Siria nel 1949 - appena un anno dopo la creazione dell'Agenzia. I patrioti siriani avevano dichiarato guerra ai nazisti, espulsero i loro dominatori coloniali francesi di Vichy e realizzarono una fragile democrazia laica basata sul modello americano. Ma nel marzo 1949, il presidente democraticamente eletto della Siria, Shukri al-Quwatli, esitò ad approvare la pipeline Trans-araba, un progetto americano destinato a collegare i campi petroliferi dell’Arabia Saudita per i porti del Libano attraverso la Siria. Nel suo libro, Legacy of Ashes, lo storico della CIA Tim Weiner racconta che come rappresaglia per la mancanza di entusiasmo per il gasdotto americano da parte di Al-Quwatli, la CIA organizzò un colpo di stato per sostituire al-Quwatli con il dittatore selezionato dalla CIA, un truffatore condannato di nome Husni al- Za'im. Al-Za'im ebbe appena il tempo di sciogliere il parlamento e approvare l'oleodotto americano prima che i suoi connazionali lo deponessero, durante i quattro mesi e mezzo del suo regime.
Dopo numerosi contro-colpi di stato nel paese di nuovo destabilizzato, il popolo siriano cercò di nuovo la democrazia nel 1955, ri-eleggendo al-Quwatli e il suo partito nazionale. Al-Quwatli era ancora neutralista nella Guerra Fredda, ma, stimolato dal coinvolgimento americano nella sua estromissione, a questo punto si rivolse verso il campo sovietico. Questo atteggiamento spinse il direttore della CIA Dulles a dichiarare che "la Siria è maturo per un colpo di stato" e inviò i suoi due maghi del colpo di stato, Kim Roosevelt e Rocky Stone, a Damasco.
Due anni prima, Roosevelt e Stone aveva orchestrato un colpo di stato in Iran contro il presidente democraticamente eletto Mohammed Mosaddegh, dopo Mosaddegh cercarono di rinegoziare i termini dei contratti sbilenchi dell'Iran con il gigante petrolifero britannico Anglo-Iranian Oil Company (ora BP). Mosaddegh fu il primo statista eletto in 4000 anni di storia iraniana e un campione popolare per la democrazia in tutto il mondo in via di sviluppo. Mosaddegh espulse tutti i diplomatici britannici dopo aver scoperto un tentativo di colpo di stato da parte  di ufficiali dei servizi segreti del Regno Unito che lavoravano in combutta con la BP. Mosaddegh, tuttavia, fece l'errore fatale di resistere alle suppliche dei suoi consiglieri di espellere anche la CIA, che, essi giustamente sospettavano di complicità nel complotto britannico. Mosaddegh idealizzò gli Stati Uniti come un modello di governo per la nuova democrazia in Iran e incapace di tali perfidie. Nonostante la ricostruzione del rapporto con Dulles, il presidente Harry Truman aveva proibito alla CIA di unirsi attivamente agli stravaganti inglesi per rovesciare Mosaddegh. Quando Eisenhower entrò in carica nel gennaio del 1953, immediatamente scatenò Dulles. Dopo aver spodestato Mosaddegh con l’ "Operazione Ajax," Stone e Roosevelt installarono lo Shah Reza Pahlavi, che favorì gli Stati Uniti le compagnie petrolifere, ma il cui feroce  regime verso il suo popolo, durato due decenni e sostenuto dalla CIA, avrebbe finalmente infiammato la rivoluzione islamica del 1979 che ha tormentato la nostra politica estera per 35 anni.
Soddisfatto per il “successo” dell’ Operazione Ajax " in Iran, Stone arrivò a Damasco nel mese di aprile 1957 con  3 milioni di dollari per armare e incitare i militanti islamici e corrompere gli ufficiali militari siriani e i politici per rovesciare il regime laico democraticamente eletto di al-Quwatli, come si legge nel libro SAFE FOR DEMOCRACY  : the secret wars of CIA, di John Prados. Lavorando con la Fratellanza Musulmana  e con milioni di dollari, Rocky Stone tramò per assassinare il capo siriano dei servizi segreti, il capo di Stato Maggiore e il capo del Partito comunista, e di progettare "cospirazioni nazionali e varie provocazioni violente" in Iraq, Libano e Giordania che potevano essere imputate ai baathisti siriani. Tim Weiner descrive in Legacy of Ashes come il piano della CIA fosse quello di destabilizzare il governo siriano e creare un pretesto per un'invasione da parte dell’Iraq e della Giordania, i cui governi erano già sotto il controllo della CIA. La previsione di Kim Roosevelt che il governo fantoccio di nuova installazione della CIA avrebbe "contato on primo luogo sulle misure repressive e sull'esercizio arbitrario del potere", secondo documenti declassificati della CIA riportati nel quotidiano The Guardian.

Ma tutti quei soldi della CIA non riuscirono a corrompere gli ufficiali militari siriani. I soldati riferirono i tentativi della CIA di corrompere il regime baathista. In risposta, l'esercito siriano invase l'ambasciata americana, prendendo Stone prigioniero. Dopo un duro interrogatorio, Stone fece una confessione televisiva del suo ruolo nel colpo di stato iraniano e nel tentativo della CIA abortito per rovesciare il governo legittimo della Siria. I siriani espulsero Stone e due membri dello staff dell'ambasciata degli Stati Uniti. Era la prima volta che un diplomatico americano del Dipartimento di Stato fosse cacciato da un paese arabo. La Casa Bianca di Eisenhower in modo disonesto respinto la confessione di Stone come "invenzioni" e "calunnie", una negazione inghiottita per intero dalla stampa americana, guidata dal New York Times e creduta dal popolo americano, che condivideva la visione idealistica di Mosaddegh del loro governo. La Siria eliminò tutti i politici simpatizzanti degli Stati Uniti e giustiziò per tradimento tutti gli ufficiali militari coinvolti nel colpo di stato. Per ritorsione, gli Stati Uniti spostarono la Sesta Flotta nel Mediterraneo, minacciarono la guerra e pungolarono la Turchia a invadere la Siria. I turchi raccolsero 50.000 soldati ai confini della Siria e fecero marcia indietro solo di fronte all'opposizione unita dalla Lega Araba i cui capi erano furiosi per l'intervento degli Stati Uniti. Anche dopo la sua espulsione, la CIA proseguì i suoi sforzi segreti per rovesciare il governo ba'athista democraticamente eletto della Siria. La CIA tramò col servizio segreto britannico MI6 per formare un "Comitato per la Siria libera" e armò i Fratelli Musulmani per assassinare tre funzionari del governo siriano, che avevano aiutato a smascherare "il complotto americano", secondo quanto scrive Matthew Jones in “The ‘Preferred Plan’: The Anglo-American Working Group Report on Covert Action in Syria, 1957.” I misfatti della CIA spisero la Siria ancora più lontano dagli Stati Uniti e in una prolungata alleanza con la Russia e l’Egitto.
Dopo il secondo tentativo di colpo di stato in Siria, rivolte anti-americane scossero il Medio Oriente dal Libano all'Algeria. Tra i riverberi vi fu il colpo di stato del 14 luglio 1958, guidato dalla nuova ondata di ufficiali anti-americani dell'esercito che rovesciarono il monarca filoamericano iracheno, Nuri al-Said. I golpisti pubblicarono documenti governativi segreti, esponendo Nuri al-Said come un fantoccio ben pagato della CIA. In risposta al tradimento americano, il nuovo governo iracheno invitò i diplomatici e i consiglieri economici sovietici in Iraq e girò le spalle all'Occidente.

Dopo aver perso l'Iraq e la Siria, Kim Roosevelt abbandonò il Medio Oriente per lavorare come dirigente per l'industria petrolifera che aveva servito così bene durante la sua carriera di servizio pubblico alla CIA. Il sostituto di Roosevelt come capo locale della CIA, James Critchfield, tentò un assassinio fallito contro il nuovo presidente iracheno con un fazzoletto tossico, secondo Weiner. Cinque anni più tardi, la CIA finalmente riuscì a deporre il presidente iracheno e l'installazione del partito Baath al potere in Iraq. Un giovane assassino carismatico di nome Saddam Hussein fu uno dei capi illustri della squadra ba'athista della CIA. Il segretario del partito Ba'ath, Ali Saleh Sa'adi, che si insediò al fianco di Saddam Hussein, dirà più tardi, "Siamo andati al potere su un treno della CIA", secondo A Brutal Friendship: The West and the Arab Elite, di Said Aburish, giornalista e autore. Aburish ha raccontato che la CIA aveva fornito a Saddam ed ai suoi amici una lista di persone che "dovevano essere eliminate immediatamente al fine di assicurare il successo." Tim Weiner scrive che Critchfield poi riconobbe che la CIA aveva, in sostanza, "creato Saddam Hussein." durante gli anni di Reagan, la CIA ha fornito a Hussein miliardi di dollari in addestramento aiuti alle forze speciali, armi e informazioni riservate sui campi di battaglia, sapendo che stava usando gas mostarda, gas nervino e armi biologiche - tra cui l'antrace ottenuto dal governo degli Stati Uniti - nella sua guerra contro l'Iran. Reagan e il suo direttore della CIA, Bill Casey, consideravano Saddam come un potenziale amico per l'industria petrolifera statunitense e una barriera robusta contro la diffusione della rivoluzione islamica iraniana. Il loro emissario, Donald Rumsfeld, incontrò Saddam con speroni da cowboy d'oro e un menu di armi biologiche e chimiche convenzionali in occasione di un viaggio del 1983 a Baghdad. Allo stesso tempo, la CIA stava illegalmente fornendo al nemico di Saddam, l'Iran, migliaia di missili anti-carro e anti-aerei per combattere l’Iraq, un crimine reso famoso durante lo scandalo Iran-Contra. Jihadisti provenienti da entrambe le parti in seguito rivolsero molte di queste armi fornite dalla CIA contro il popolo americano.
Anche quando l'America contempla già l'ennesimo intervento violento in Medio Oriente, la maggior parte degli americani non è consapevole dei molti modi in cui quel "contraccolpo" da precedenti errori della CIA ha rafforzato la crisi attuale. Le ripercussioni dopo decenni di losche manovre della CIA oggi continuano a risuonare in tutto il Medio Oriente, nelle capitali nazionali e dalle moschee alle scuole Madras oltre il paesaggio distrutto della democrazia e dell’Islam moderato che la CIA ha aiutato a cancellare.
Una sfilata di dittatori iraniani e siriani, tra cui Bashar al-Assad e suo padre, hanno invocato la storia di colpi di stato sanguinosi della CIA come pretesto per il loro regime autoritario, le tattiche repressive e la necessità di una forte alleanza con la Russia. Queste storie sono, quindi, ben note ai popoli di Siria e Iran, che, naturalmente, interpretano la versione dell’intervento degli Stati Uniti nel contesto di quella storia.
Mentre la stampa americana allineata ripete come i pappagalli la narrazione che il nostro sostegno militare all'insurrezione siriana è puramente umanitari, molti arabi vedono la crisi come un’altra guerra per procura sui gasdotti e la geopolitica. Prima di precipitare più in profondità verso l'incendio, sarebbe saggio per noi considerare i tanti fatti che sostengono quella prospettiva.
A loro avviso, la nostra guerra contro Bashar Assad non è cominciata con le pacifiche proteste civili della primavera araba nel 2011. Invece è iniziata nel 2000, quando il Qatar propose di costruire un gasdotto di 10 miliardi di dollari, lungo 1.500 km attraverso l'Arabia Saudita, la Giordania, la Siria e La Turchia. Il Qatar condivide con l'Iran il giacimento di gas di South Pars / North Dome, il più ricco di gas naturale del mondo. L'embargo del commercio internazionale fino a poco tempo vietava all'Iran di vendere gas dall'estero. Nel frattempo, il gas del Qatar poteva raggiungere i mercati europei solo se viene liquefatto e spedito via mare, un percorso che limita il volume e drammaticamente aumenta i costi. La conduttura proposta avrebbe collegato il Qatar direttamente ai mercati europei dell'energia tramite terminali di distribuzione in Turchia, che avrebbe intascato ricche tasse di transito. Il gasdotto Qatar / Turchia darebbe ai regni sunniti la dominazione decisiva dei mercati del Golfo Persico di gas naturale in  tutto il mondo e rafforzare il Qatar, il più stretto alleato degli Stati Uniti nel mondo arabo. Il Qatar ospita due enormi basi militari americane e la sede del Quartier Generale mediorientale del Comando Centrale degli Stati Uniti.
L'Unione Europea, che ottiene il 30 per cento del suo gas dalla Russia, era ugualmente interessata al gasdotto, che avrebbe dato ai suoi membri energia a basso costo e sollievo dall’influenza economica e politica soffocante di Vladimir Putin. La Turchia, il secondo più grande cliente di gas della Russia, era particolarmente ansioso di porre fine alla sua dipendenza dal suo antico rivale e di posizionarsi come centro di smistamento redditizio per i combustibili asiatici verso i mercati dell'UE. La conduttura del Qatar avrebbe beneficato la monarchia conservatrice sunnita dell'Arabia Saudita dandole un punto di appoggio nella Siria sciita. L’obiettivo geopolitico saudita è quello di contenere il potere economico e politico del rivale del regno principale, l'Iran, uno stato sciita, e stretto alleato di Bashar Assad. La monarchia saudita ha visto il cambio di governo sciita sponsorizzato dagli USA in Iraq (e, più recentemente, la cessazione dell'embargo commerciale all’Iran) come una retrocessione per il suo status di potenza regionale e si è già impegnato in una guerra per procura contro Teheran in Yemen, evidenziato dal genocidio saudita contro la tribù Houthi sostenuta dall’Iran.
Naturalmente, i russi, che vendono il 70 per cento delle loro esportazioni di gas verso l'Europa, hanno visto il ​​gasdotto Qatar / Turchia come una minaccia esistenziale. Secondo Putin, il gasdotto del Qatar è un complotto della NATO per cambiare lo status quo, privare la Russia del suo unico punto d'appoggio in Medio Oriente, strangolare l'economia russa e porre fine all’influenza russa nel mercato europeo dell'energia. Nel 2009, Assad aveva annunciato che si sarebbe rifiutato di firmare l'accordo per permettere al gasdotto di correre attraverso la Siria "per proteggere gli interessi del nostro alleato russo."

Assad ulteriormente fece infuriare i monarchi sunniti del Golfo, approvando un "gasdotto islamico" approvato dalla Russia che attraversava parte dei giacimenti di gas dell'Iran attraverso la Siria e fino ai porti del Libano. Il gasdotto islamico avrebbe reso l'Iran sciita, non il sunnita Qatar, il principale fornitore per il mercato europeo dell'energia e aumentare notevolmente l'influenza di Teheran in Medio Oriente e nel mondo. Anche Israele era comprensibilmente determinato a far deragliare il gasdotto islamico, che avrebbe arricchito l'Iran e la Siria e, presumibilmente, rafforzato i loro delegati, Hezbollah e Hamas.

Messaggi segreti e rapporti degli Stati Uniti, dell'Arabia Saudita e dei servizi segreti israeliani indicano che nel momento in cui Assad respinse i pianificatori militari e investigativi del gasdotto del Qatar rapidamente si arrivò al consenso che fomentare una rivolta sunnita in Siria per rovesciare il non collaborativo Bashar Assad era un percorso fattibile per raggiungere l'obiettivo condiviso di completare il collegamento di gas del Qatar / Turchia. Nel 2009, secondo WikiLeaks, subito dopo che Bashar Assad aveva respinto la pipeline del Qatar, la CIA iniziò a finanziare i gruppi di opposizione in Siria. È importante notare che questo accadde ben prima della rivolta della primavera araba contro Assad.

La famiglia di Bashar Assad è alawita, una setta musulmana ampiamente percepita come allineata con il campo sciita. "Bashar Assad non è mai stato destinato alla carica di presidente", mi ha detto in un'intervista il giornalista Seymour Hersh. "Suo padre lo fece ritornare da Londra, dove studiava Medicina, quando il fratello maggiore, l'erede vero, morì in un incidente d'auto." Prima dell'inizio della guerra, secondo Hersh, Assad lavorava per liberalizzare il paese. “C’erano internet e giornali e sportelli bancomat e Assad intendeva muoversi verso l’occidente. Dopo l’11 Settembre 2001, consegnò migliaia di informazioni preziose per la CIA sui radicali jihadisti, che egli considerava un nemico comune.” Il regime di Assad è stato volutamente laico e la Siria è stata straordinariamente diversa. Il governo siriano e i militari, per esempio, erano formati per l'80 per cento da sunniti. Assad manteneva la pace tra i suoi popoli diversi tramite un forte e disciplinato esercito fedele alla famiglia Assad, una fedeltà assicurata da un corpo di ufficiali a livello nazionale stimato e ben pagato, un apparato investigativo freddamente efficiente e una inclinazione per la brutalità che, prima della guerra, era piuttosto moderata rispetto a quella di altri capi in Medio Oriente, tra cui i nostri alleati attuali. Secondo Hersh, “Di certo non decapitava le persone ogni mercoledì, come i sauditi fanno alla Mecca”.
Un altro veterano del giornalismo, Bob Parry, fa eco a quella valutazione. “Nessuno nella regione ha le mani pulite, ma nei regni della tortura, uccisioni di massa, [soppressione] di libertà civili e terrorismo di supporto, Assad è molto meglio dei sauditi.” Nessuno credeva che il regime fosse vulnerabile all'anarchia che aveva lacerato l’Egitto, la Libia, Yemen e Tunisia. Entro la primavera del 2011, ci furono piccole, manifestazioni pacifiche a Damasco contro la repressione da parte del regime di Assad. Questi erano principalmente gli effluvi della primavera araba che si era diffusa viralmente attraverso la Lega degli Stati Arabi l'estate precedente. Tuttavia, i documenti WikiLeaks indicano che la CIA era già operativa sul terreno in Siria.
Ma i regni sunniti con vaste riserve di petrodollari in gioco volevano un coinvolgimento molto più profondo da parte dell'America. Il 4 settembre 2013, il Segretario di Stato John Kerry disse in un’audizione al Congresso che i regni sunniti si erano offerti di pagare il conto per l'invasione statunitense della Siria per spodestare Bashar Assad. “In effetti, alcuni di loro dissero che se gli Stati Uniti sono pronti ad andare a fare tutto da soli, come abbiamo fatto in precedenza in altri luoghi [Iraq], dovranno sopportare il costo.” Kerry ribadì l'offerta alla deputata repubblicana della Florida Ileana Ros-Lehtinen: “Per quanto riguarda i paesi arabi che propongono di sostenere i costi di [un'invasione americana] per rovesciare Assad, la risposta è profondamente sì. L'offerta è sul tavolo. "
Nonostante le pressioni dei repubblicani, Barack Obama scoraggiò l’impiego di giovani americani da mandare a morire come mercenari per un conglomerato di gasdotti. Obama saggiamente ignorò la richiesta a gran voce dei repubblicani di mandare truppe di terra in Siria o per incanalare maggiori finanziamenti per “gli insorti moderati.” Ma entro la fine del 2011, la pressione repubblicana e dei nostri alleati sunniti aveva spinto il governo americano nella mischia.
Nel 2011, agli Stati Uniti si unirono Francia, Qatar, Arabia Saudita, Turchia e Regno Unito per formare la coalizione “Amici della Siria”, che chiese formalmente la rimozione di Assad. La CIA fornì 6 milioni di $ a Barada, un canale televisivo britannico, per la produzione di servizi che imploravano la cacciata di Assad. Documenti dei servizi segreti sauditi, pubblicati da Wikileaks, mostrano che dal 2012, la Turchia, il Qatar e l'Arabia Saudita armavano, addestravano e finanziavano i combattenti radicali sunniti jihadisti provenienti da Siria, Iraq e altrove, per rovesciare il regime di Assad alleato degli sciiti. Il Qatar, che aveva più degli altri da guadagnare, investì $ 3 miliardi nella costruzione dell'insurrezione e invitò il Pentagono per addestrare gli insorti presso le basi statunitensi in Qatar. Secondo un articolo del mese di aprile 2014 di Seymour Hersh, le vie di rifornimento delle armi della CIA furono finanziate dalla Turchia, dall’Arabia Saudita e dal Qatar.
L'idea di fomentare una guerra civile tra sunniti e sciiti per indebolire i regimi siriano e iraniano, al fine di mantenere il controllo delle forniture petrolchimiche della regione non era un’idea di romanzo nel lessico del Pentagono. Un maledetto rapporto del 2008 per il Pentagono finanziato dalla Rand proponeva un progetto preciso per quello che stava per accadere. Il rapporto osservava che il controllo del gas e dei giacimenti di petrolio del Golfo Persico rimarrà, per gli Stati Uniti, “una priorità strategica” che "interagirà fortemente con quella di perseguire la lunga guerra.” Rand raccomandava l'utilizzo di “azioni segrete, operazioni di informazione, guerra non convenzionale” per imporre una “strategia divide et impera”. “Gli Stati Uniti e i suoi alleati locali potrebbero utilizzare i jihadisti nazionalisti per lanciare una campagna per procura” e “i dirigenti degli Stati Uniti potrebbero anche scegliere di trarre vantaggi appoggiando la traiettoria del conflitto tra sciiti e sunniti, prendendo posizione a favore dei regimi sunniti conservatori contro i movimenti di risveglio sciita nel mondo musulmano ... possibilmente aiutando i governi sunniti autoritari contro un Iran continuamente ostile.”
Come previsto, la reazione eccessiva di Assad alla crisi di fabbricazione straniera – sganciamento di bombe a botte sulle roccaforti sunnite che causò la morte di civili – polarizzò la divisione tra sciiti / sunniti della Siria e permise ai responsabili politici degli Stati Uniti di vendere agli americani l'idea che la guerra per il gasdotto era una guerra umanitaria. Quando i soldati sunniti dell'esercito siriano cominciarono a disertare nel 2013, la coalizione occidentale armò l'esercito siriano libero per destabilizzare ulteriormente la Siria. Il ritratto fatto dalla stampa del Free Syrian Army (l’Esercito Libero Siriano) come battaglioni coesi dei moderati siriani era allucinantee. Le unità disciolte si raggrupparono in centinaia di milizie indipendenti la maggior parte dei quali erano comandate da, o alleati con i militanti jihadisti, che erano i combattenti più impegnati ed efficaci. Da allora, gli eserciti sunniti di Al Qaeda in Iraq attraversarono il confine dall'Iraq in Siria e si unirono alle altre forze con gli squadroni di disertori dell'esercito siriano libero, molti dei quali addestrati e armati dagli Stati Uniti.
Nonostante la prevalente descrizione fatta dalla stampa di una rivolta araba moderata contro il tiranno Assad, i pianificatori della CIA americana sapevano fin dall'inizio che i loro addetti al gasdotto erano jihadisti radicali che probabilmente si sarebbero ritagliato un nuovo califfato islamico dalle regioni sunnite di Siria e Iraq. Due anni prima i tagliatori di gola dell’ ISIL fecero un passo sulla scena mondiale, uno studio di sette pagine del 12 Agosto 2012, redatto dalla Defense Intelligence Agency statunitense, ottenuto dal gruppo di destra Judicial Watch, avvertiva che, grazie al sostegno continuo da parte degli Stati Uniti e della Coalizione sunnita a favore dei jihadisti sunniti radicali, “i salafiti, i Fratelli musulmani e AQI (ora ISIS), sono le principali forze motrici della rivolta in Siria.”

Utilizzando il finanziamento degli Stati Uniti e degli stati del Golfo, questi gruppi avevano trasformato le proteste pacifiche contro Bashar Assad verso “una chiara, direzione settaria (sciiti contro sunniti)”. Il documento osserva che il conflitto era diventato una guerra civile settaria sostenuta da potenze “religiose e politiche sunnite”. Il rapporto dipinge il conflitto siriano come una guerra globale per il controllo delle risorse della regione con “l'Occidente, i paesi del Golfo e la Turchia a sostegno dell'opposizione [di Assad], mentre la Russia, la Cina e l'Iran sostengono il regime”. Gli autori del rapporto di sette pagine del Pentagono sembrano approvare l'avvento previsto del califfato ISIS: “Se la situazione si dipana, vi è la possibilità di stabilire un principato salafita dichiarato o non dichiarato nella parte orientale della Siria (Hasaka e Der Zor) e questo è esattamente ciò che le potenze sostenitrici dell'opposizione vogliono al fine di isolare il regime siriano”. Il rapporto del Pentagono avverte che questo nuovo principato poteva muoversi attraverso il confine iracheno verso Mosul e Ramadi e “dichiarare uno stato islamico attraverso la sua unione con le altre organizzazioni terroristiche in Iraq e la Siria.”
Naturalmente, questo è precisamente quanto è successo. Non a caso, le regioni della Siria occupate dallo Stato Islamico esattamente comprendono l'itinerario proposto del gasdotto del Qatar.
Ma poi, nel 2014, i nostri delegati sunniti atterrirono il ​​popolo americano tagliando teste e mandando un milione di rifugiati verso l'Europa. "Le strategie basate sull'idea che il nemico del mio nemico è mio amico può essere una specie di accecamento", dice Tim Clemente, che presiedette il Joint Terrorism Task Force dell'FBI dal 2004 al 2008 e servì da collegamento in Iraq tra l'FBI, la polizia di Stato irachena e l'esercito americano. “Abbiamo fatto lo stesso errore quando addestrammo i mujaheddin in Afghanistan. Nel momento in cui i russi se ne andarono, i nostri presunti amici iniziarono  a distruggere le antichità, schiavizzarono le donne, mutilavano i corpi e sparavano contro di noi”, mi disse Clemente in un'intervista.
Quando il famoso “Jihadi John” dello Stato Islamico cominciò a uccidere i prigionieri in TV, la Casa Bianca girò i tacchi e parlò sempre meno di deporre Assad e di più di stabilità regionale. L'amministrazione Obama cominciò a prendere le distanze tra sé e l'insurrezione che avevamo finanziato. La Casa Bianca puntò il dito accusatore verso i nostri alleati. Il 3 ottobre 2014, il vice Presidente Joe Biden disse agli studenti al John F. Kennedy Jr. forum presso l'Istituto di Politica ad Harvard che”i nostri alleati nella regione erano il nostro problema più grande in Siria.” Spiegò che la Turchia, l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti erano “così determinati ad abbattere Assad” che avevano lanciato una “guerra per procura tra sunniti e sciiti” convogliando “centinaia di milioni di dollari e decine di migliaia di tonnellate di armi in tutti coloro che avrebbero lottato contro Assad, tranne al-Nusra, e al-Qaeda” - i due gruppi che si sono fusi nel 2014 per formare lo Stato islamico. Biden sembrava irritato del fatto che i nostri “amici” fidati non potevano essere affidabili per seguire l’ordine del giorno degli Stati Uniti.
In tutto il Medio Oriente, i capi arabi ripetutamente accusano gli Stati Uniti di aver creato lo Stato islamico. Per la maggior parte degli americani, tali accuse sembrano folli. Tuttavia, per molti arabi, la prova del coinvolgimento degli Stati Uniti è così abbondante che essi concludono che il nostro ruolo nel promuovere lo Stato Islamico deve essere stato intenzionale.
In effetti, molti dei combattenti dello Stato Islamico e i loro comandanti sono da un punto di vista ideologico e organizzativo i successori  dei jihadisti che la CIA aveva alimentato per più di 30 anni dalla Siria e dall’Egitto fino all’Afghanistan e all’Iraq.

Prima dell'invasione americana, non c'era Al Qaeda nell’Iraq di Saddam Hussein. Il presidente George W. Bush distrusse il governo laico di Saddam, e il suo viceré, Paul Bremer, in un atto monumentale di cattiva gestione, di fatto creò l'esercito sunnita, ora chiamato Stato Islamico. Bremer portò gli sciiti al potere e proibì il Partito Ba’ath di Saddam, licenziando circa 700.000 persone in maggioranza sunnite, funzionari di governo, di partito, ministri e insegnanti. Poi smobilitò l'esercito formato da circa 380.000- uomini, che erano sunniti all'80 per cento. Le decisioni di Bremer spogliarono un milione di sunniti iracheni di rango, privandoli della proprietà, della ricchezza e del potere, lasciando una sottoclasse disperata di sunniti arrabbiati, istruiti, capaci, addestrati e armati fino ai denti con poco da perdere. L'insurrezione sunnita in Iraq prese il nome di Al Qaeda. A partire dal 2011, i nostri alleati finanziarono l'invasione dei combattenti qaedisti in Siria. Nel mese di aprile 2013, dopo essere entrati in Siria, Al Qaeda cambiò nome in ISIL. Secondo Dexter Filkins del New Yorker, “l’ISIS è gestito da un consiglio di ex generali iracheni. ... Molti sono membri del partito laico Baath di Saddam Hussein, convertiti all'Islam radicale nelle prigioni americane”. I $ 500 milioni in aiuti militari degli Stati Uniti che Obama inviò in Siria quasi certamente finirono per beneficiare questi jihadisti militanti. Tim Clemente, ex presidente della unità militare congiunta del FBI, mi disse che la differenza tra i conflitti in Iraq e in Siria sono i milioni di uomini in età militare che fuggono il campo di battaglia per in Europa, piuttosto che stare a lottare per le loro comunità. La spiegazione ovvia è che i moderati della nazione fuggono una guerra che non è la loro guerra. Essi vogliono semplicemente evitare di essere schiacciati tra l'incudine della tirannia di Assad appoggiata dalla Russia e il martello immorale sunnita jihadista che abbiamo impugnato in una battaglia globale per gli oleodotti concorrenti. Non si può incolpare il popolo siriano per non aver ampiamente abbracciato un progetto per la loro nazione coniato o a Washington o a Mosca. Le superpotenze non hanno lasciato opzioni per un futuro idealistico per cui i moderata siriani avrebbero potuto considerare di lottare. E nessuno vuole morire per un oleodotto.
* * *
Qual è la risposta? Se il nostro obiettivo è la pace a lungo termine in Medio Oriente, l'autogoverno da parte delle nazioni arabe e la loro sicurezza nazionale, dobbiamo pensare qualche nuovo intervento nella regione con un occhio alla storia e un intenso desiderio di imparare la lezione. Solo quando noi americani comprenderemo il contesto storico e politico di questo conflitto potremo applicare gli opportuni controlli alle decisioni dei nostri capi. Utilizzando le stesse immagini e il linguaggio che sostenne la nostra guerra del 2003 contro Saddam Hussein, i nostri dirigenti politici hanno portato gli americani a credere che il nostro intervento in Siria sia una guerra idealistica contro la tirannia, il terrorismo e il fanatismo religioso. Tendiamo a liquidare come mero cinismo le opinioni di quegli arabi che vedono la crisi attuale come una replica delle stesse vecche trame sugli oleodotti e la geopolitica. Ma, se vogliamo avere una politica estera efficace, dobbiamo riconoscere che il conflitto siriano è una guerra per il controllo delle risorse indistinguibile dalla miriade di guerre clandestine e non dichiarate per il petrolio che abbiamo combattuto in Medio Oriente per 65 anni. E solo quando vedremo questo conflitto come una guerra per procura per un oleodotto renderemo gli eventi comprensibili. È l'unico paradigma che spiega perché il Partito Repubblicano e l'amministrazione Obama sono ancora fissati su un cambiamento di regime, piuttosto che sulla stabilità della regione, perché l'amministrazione Obama non può trovare moderati siriani disposti a combattere la guerra, perché l’ISIL ha fatto saltare in aria un aereo russo con passeggeri a bordo, perché i sauditi hanno appena decapitato un potente religioso sciita solo per farsi bruciare la loro ambasciata a Teheran, perché la Russia sta bombardando i combattenti che non appartengono all’ ISIL e perché la Turchia ha violato le regole abbattendo un jet russo. Il milione di profughi che sta inondando l’Europa sono profughi di un oleodotto e di una guerra condotta alla cieca dalla CIA.

Clemente paragona l’ISIL alle FARC della Colombia - un cartello della droga con un'ideologia rivoluzionaria per ispirare i suoi guerriglieri. “Bisogna pensare a ISIS come a un cartello del petrolio”, ha detto Clemente. “Alla fine, il denaro è la logica di governo. L'ideologia religiosa è uno strumento che ispira i suoi soldati a dare la vita per un cartello petrolifero”.
Una volta che spogliamo questo conflitto della sua patina umanitaria e riconosciamo il conflitto siriano come una guerra per il petrolio, la nostra strategia di politica estera diventa chiara. Come i siriani in fuga verso l'Europa, nessun americano vuole mandare i propri figli a morire per un oleodotto. Invece, la nostra prima priorità dovrebbe essere quella che nessuno menziona mai - dobbiamo dare un calcio ai nostri legami col petrolio in Medio Oriente, un obiettivo sempre più realizzabile, quando gli Stati Uniti diventeranno più indipendenti in tema di energia. Quindi, abbiamo bisogno di ridurre drasticamente il nostro profilo militare in Medio Oriente e lasciare che gli arabi governino l’Arabia. Oltre che gli aiuti umanitari e la garanzia della sicurezza dei confini di Israele, gli Stati Uniti non hanno alcun ruolo legittimo in questo conflitto. Mentre i fatti dimostrano che abbiamo giocato un ruolo nella creazione della crisi, la storia dimostra che abbiamo poco potere per risolverlo.
Contemplando la storia, ci lascia senza fiato considerare la consistenza sorprendente con cui praticamente ogni intervento violento in Medio Oriente, fin dalla Seconda Guerra Mondial, e da parte del nostro Paese ha portato a miserabili fallimenti e a contraccolpi terribilmente costosi. Un rapporto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti del 1997 ha rilevato che “i dati mostrano una forte correlazione tra il coinvolgimento degli Stati Uniti all'estero e un aumento degli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti”. Diciamolo chiaro; ciò che noi chiamiamo la “guerra al terrore” è in realtà solo un'altra guerra del petrolio. Abbiamo sprecato $ 6.000.000.000.000 (trilioni) su tre guerre all'estero e sulla costruzione di uno stato di guerra per la sicurezza nazionale fin da quando il petroliere Dick Cheney dichiarò la "Lunga Guerra" nel 2001. Gli unici vincitori sono stati gli appaltatori militari e le compagnie petrolifere che hanno intascato profitti storici, le agenzie investigative che sono cresciute in modo esponenziale in potere e influenza a scapito delle nostre libertà e dei jihadisti che hanno usato sempre i nostri interventi come strumento di reclutamento più efficace. Noi abbiamo compromesso i nostri valori, massacrato la nostra gioventù, ucciso centinaia di migliaia di persone innocenti, sovvertito il nostro idealismo e sperperato i nostri tesori nazionali in avventure inutili e costose all'estero. Mentre facevamo questo, abbiamo aiutato i nostri peggiori nemici e trasformato l'America, una volta faro al mondo di libertà, in uno stato di sorveglianza della sicurezza nazionale e un paria morale internazionale.

I padri fondatori dell'America misero in guardia gli americani contro gli eserciti permanenti, i coinvolgimenti stranieri e, nelle parole di John Quincy Adams, contro la tendenza di “andare all'estero in cerca di mostri da distruggere”. Quegli uomini saggi avevano capito che l'imperialismo all'estero è incompatibile con la democrazia e i diritti civili all’interno. Alla Carta Atlantica ha fatto eco il loro ideale seminale americano che ogni nazione dovrebbe avere il diritto all'autodeterminazione. Nel corso degli ultimi sette decenni, i fratelli Dulles, la banda Cheney, i neoconservatori e i loro simili hanno dirottato tale principio fondamentale dell'idealismo americano e messo in campo il nostro apparato militare e investigativo per servire gli interessi mercantili delle grandi imprese e, in particolare, le compagnie petrolifere e gli imprenditori militari che hanno letteralmente fatto una strage mediante questi conflitti.
È il momento per gli americani di portare l'America fuori da questo nuovo imperialismo e di riportarla sul sentiero dell’idealismo e della democrazia. Dobbiamo lasciare che gli arabi governino l’Arabia e rivolgere le nostre energie per il grande tentativo della costruzione della nazione a casa nostra. Abbiamo bisogno di iniziare questo processo, non invadendo la Siria, ma ponendo fine alla dipendenza rovinosa dal petrolio che ha distorto la politica estera degli Stati Uniti per mezzo secolo. 


Robert F. Kennedy, Jr. è il presidente di Waterkeeper Alliance. Il suo libro più recente è Thimerosal: Let The Science Speak.

(Traduzione di Diego Siragusa)

(Fonte: http://www.politico.eu/article/why-the-arabs-dont-want-us-in-syria-mideast-conflict-oil-intervention/

venerdì 26 febbraio 2016

Sionismo : Purché non se ne parli



di VALERIO GIGANTE
(Scrittore e giornalista)




 5 MARZO 2016 • N. 9 Adista

Si intitola Sionismo, il vero nemico degli ebrei (Clarity Press 2009, traduzione it. edizioni Zambon, 2015), ma il libro è stato scritto da chi certamente non è tacciabile di essere un “nemico” degli ebrei. L’autore è infatti il giornalista britannico Alan Hart, già corrispondente capo di Independent Television News, presentatore di BBC Panorama e inviato di guerra, grande conoscitore di Medio Oriente; un giornalista che ha conosciuto personalmente i maggiori protagonisti del conflitto arabo-israeliano, come Moshe Dayan, Shimon Peres, re Faysal dell’Arabia Saudita, Nasser, Anwar El Sadat, George Habash, Yasser Arafat, re Hussein di Giordania. È stato inoltre amico sia del Primo ministro israeliano Golda Meir (che ha definito “madre Israele”) e del leader dell’Olp Yasser Arafat (che chiama “padre Palestina”), di cui ha scritto una biografia, datata 1985 (Terrorism or Freedom Fighters: Yasser Arafat and the PLO). Il libro, appena pubblicato in Italia, è il primo volume di una trilogia che Hart ha dedicato al tema del Sionismo, completata e pubblicata in lingua inglese nel 2010. Il progetto è ambizioso, perché Hart tenta di ricostruire l’intricata vicenda che ha condotto all’affermazione del sionismo all’interno del mondo ebraico ed all’esterno, come modello di una nuova forma di nazionalismo. Il giornalista spiega nel libro che non vi è nessun rapporto logico-consequenziale tra la Shoah e la nascita dello Stato di Israele (ma questo è un fatto che la storiografia ha acquisito già da decenni, nonostante stenti a radicarsi nel senso comune e nella pubblistica divulgativa) e che il tema della creazione di uno Stato degli ebrei dispersi in tutta Europa precede cronologicamente l’Olocausto e va retrodatato almeno alla fine del XIX secolo. Fatte – e doviziosamente documentate – queste necessarie premesse, Hart tenta quindi di spiegare come i Paesi occidentali, tutti in prevalenza di cultura antisemita abbiano sostanzialmente sostenuto il progetto di creazione dello Stato di Israele e come sia diventato un Paese strategico nella ridefinizione della mappa del Medio Oriente nel secondo dopoguerra. Risultato notevole, se si considera l’iniziale opposizione di Inghilterra e Stati Uniti, di tutti i Paesi arabi e la diffidenza degli stessi ebrei americani e dei Paesi occidentali, che in maggioranza non erano sionisti e non ambivano comunque a trasferirsi in Israele. Insomma, quanto avvenne tra il 1947 e il 1948 è assai lontano da un altro luogo comune sfatato dal libro, quello del “ritorno” in Palestina di un popolo esule e disperso che ricostituiva il suo Stato (ma nel corso dei secoli la Palestina non era stata affatto “abbandonata”, e anche nei millenni in cui vi avevano abitato, gli ebrei avevano costituito una minoranza tra le altre popolazioni presenti, costituendo uno Stato solo per un breve periodo, tra l’XI e il X secolo a. C.). Lo Stato di Israele è allora frutto, secondo Hart, di un insieme di concause. I Paesi europei scelsero di ridimensionare l’influenza ebraica all’interno dei propri confini, rinunciarono alla sfida posta dall’accettazione e dall’integrazione, scaricando la contraddizione sulla Palestina e le popolazioni arabe, le cui élite sarebbero state, da parte loro, incapaci di cogliere il significato dei massicci flussi migratori di ebrei prima del 1948, pensando forse al semplice ritorno di una minoranza facilmente integrabile all’interno del tessuto sociale arabo-musulmano. Hart è però anche fortemente critico sul ruolo giocato nella crisi dalla Lega Araba, della quale sottolinea la sostanziale subalternità alle logiche geopolitiche occidentali. Giocò poi un ruolo importante, secondo Hart, anche la possibilità di spezzare – attraverso il sionismo – la solidarietà di classe che aveva portato tanti ebrei russi a solidarizzare con la rivoluzione bolscevica: il nazionalismo sionista in quanto antidoto all’internazionalismo comunista, che rischiava di “contagiare” anche gli ebrei che vivevano (o migravano) in Occidente. Inoltre i britannici pensarono che la necessità di proteggere il Canale di Suez, di importanza vitale ai fini del mantenimento della “spina dorsale” dell’impero britannico, fosse possibile solo a condizione di favorire la presenza di uno Stato ebraico nella regione (ne conseguì la scelta della Gran Bretagna di rilasciare la Dichiarazione Balfour, 2/11/1917). Una riflessione a parte merita la vicenda dalla pubblicazione del libro in Italia, caratterizzata da un imbarazzato silenzio, soprattutto dopo quanto avvenuto in occasione della presentazione ufficiale del libro, il 7 dicembre 2015. Quel giorno presso la sede dell’Anpi di Roma, la sezione Anpi “don Pappagallo” aveva promosso un incontro cui dovevano partecipare Giorgio Gomel (Ebrei per la pace), Marco Ramazzotti Stockel (rete Ebrei contro l’Occupazione), Carlo Tagliacozzo (studioso dello Shoah), e Diego Siragusa (che oltre ad aver tradotto il testo di Hart in italiano ne ha scritto anche la prefazione). Contro l’iniziativa è intervenuta però la Comunità ebraica di Roma, che ha indotto l’Anpi nazionale e l’Anpi di Roma a chiedere alla sezione Anpi “don Pappagallo” di ritirarsi dall’organizzazione dell’evento, giustificando la clamorosa marcia indietro con il rifiuto a promuovere «qualsiasi forma di razzismo ed antisemitismo». Da allora il libro ha ricevuto in Italia pochissime segnalazioni e recensioni, e vive in una sorta di limbo, ignorato dalla stragrande maggioranza degli organi di informazione, ma al contrario piuttosto conosciuto e commentato in rete. 

CRIMINALIZZARE LA RUSSIA E' PERICOLOSO PER IL MONDO INTERO





di Anton Krylov 



26 Febbraio 2016

Traduzione di Lorenzo Battisti per Marx21.it


Negli ultimi anni la Russia ha conosciuto diversi attacchi mediatici da parte dell'occidente. Ma negli ultimi tempi, questi attacchi hanno la strana tendenza a focalizzarsi sul fatto che la Russia dispone di un importante arsenale di armi nucleari. È grande il rischio che la guerra dell'informazione degeneri in un conflitto molto più pericoloso.

Nel romanzo di anticipazione SNUFF, di Victor Pélévine, l'azione si svolge in un futuro post apocalittico dove, dopo una guerra nucleare mondiale e una serie di conflitti locali, la popolazione della terra è diventata un decimo. Quando i giovani eroi domandano come è avvenuta la catastrofe, gli viene risposto che nel mondo di prima della guerra, le genti confondevano troppo spesso i film con le notizie: “Di conseguenza, se in un film un qualsiasi popolo veniva costantemente rappresentato come un manipolo di assassini e degenerati, questa era in realtà una informazione. Ma la si faceva passare per del cinema”. La guerra è cominciata dopo che certe persone “si sono fatte un film su un altro paese, poi hanno immaginato che fossero informazioni, quindi si sono messe in un grande stato di eccitazione e hanno cominciato a bombardare questo paese”.

La prima del nuovo film della Bbc, La Storia di una guerra nucleare iniziata dalla Russia, coincide questa volta con una dichiarazione del Segretario Generale della Nato, Jens Stoltenberg, secondo la quale la Russia avrebbe simulato un attacco nucleare contro la Svezia nel 103. Dov'è il film e dove sono le notizie?

Annunciando che la Russia avrebbe studiato uno scenario di attacco nucleare alla Svezia, Stoltenberg non ha spiegato perché dovrebbe succedere una cosa simile. Tra la Russia e la Svezia non esistono conflitti irrisolti. Secondo la dottrina militare della Federazione Russa, l'utilizzo delle armi nucleari non è possibile che “in risposta all'utilizzazione contro essa e/o contro i suoi alleati si armi nucleari o di altre armi di distruzione di massa, così come nel caso di un'aggressione contro la Federazione Russa con l'utilizzo di armi convenzionali, nel caso che l'esistenza stessa del paese fosse minacciata”.

In primo luogo la Svezia non possiede armi di distruzione di massa. Inoltre non è serio immaginare che le forze armate svedesi, che non hanno combattuto da 202 anni, possano costituire una minaccia per l'esistenza della Russia. E quand'anche si mettesse in dubbio la dottrina militare, e si supponesse che la Russia potesse cominciare una guerra d'aggressione con delle armi nucleari, basterebbe ragionare un minuto: perché rovinare una bomba nucleare molto costosa per una Svezia praticamente inoffensiva, quando ci sono un gran numero di obiettivi nel mondo contro i quali questa bomba potrebbe essere utilizzata con maggior beneficio?

Così, nella narrazione di Stoltenberg la Russia è rappresentata nei tratti di un malfattore demente nello stile del Sorge del “quinto elemento”, il cui fine è di uccidere tutto il mondo prima di morire lui stesso. Questo non ha niente a che vedere con la realtà, e il fatto che delle persone con questa immagine della Russia occupino le più alte funzioni alla Nato è senza dubbio inquietante dal punto di vista della sicurezza mondiale.

Il film della BBC, come si addice ad un'opera d'arte, è più sfumato rispetto all'incubo apocalittico del Segretario Generale della Nato.

In questa realtà immaginaria, tutto comincia con una “Primavera russa” in Lettonia: i russofoni locali si sollevano contro l'oppressione della “nazione titolare”, gridando “Russia! Russia!”, la folla  comincia a cambiare le bandiere sul Comune di Daugavpils e prende il controllo non solamente della città, ma anche di altri agglomerati nell'est del paese, così come della zona di frontiera con la Russia… Si sentono degli appelli per la conclusione di una Unione Latgale-russa e per un referendum sul riconoscimento della “Repubblica popolare di Latgale”.

Dopodiché la Russia invade la Lettonia, e dopo l'intensificarsi del conflitto, lancia un attacco nucleare su una nave da guerra britannica (ancora una volta bombe nucleari dispensate che vanno via come il pane). Washington, che ha anch'esso perduto una nave da guerra, ignora i consigli del governo britannico e lancia a sua volta un attacco nucleare su un “obiettivo militare russo”, spingendo così la Gran Bretagna a una “guerra nucleare su grande scala”.

Man mano che la tensione aumenta e che lo “scenario catastrofe” si avvicina al suo apogeo, nel posto di comando si apprende che Putin ha “ordinato” che il colpo nucleare successivo colpisca Londra. Dopo una lunga riflessione, i britannici decidono alla fine di non rispondere. La storia finisce così.

Così il film raggiunge tre obiettivi propagandistici.

Il primo – i cittadini russofoni della Lettonia sono etichettati come una “pericolosa quinta colonna”, da cui ci si può aspettare in ogni momento un'opposizione ai valori europei. Data la popolarità crescente del Sindaco di Riga Nil Ouchakov, questa ipotesi rappresenta un attacco diretto contro di lui e contro il suo partito “Armonia”.

A proposito dell'assurdità del film britannico, l'ambasciatore della Russia in Lettonia Alexandr Veshnyakov, ex capo della Commissione elettorale centrale, ha detto: “lavoro in Lettonia da 8 anni e non conosco qui alcuna organizzazione separatista, in condizione per di più di prendere il potere, addirittura in una città di frontiera (e nel film ce ne sono 20). Qualsiasi esperto indipendente che conosca la situazione della Lettonia ve lo confermerà. Questo scenario è totalmente artificioso e persegue degli obiettivi politici. Innanzitutto condurre una guerra dell'informazione per demonizzare la Russia. In secondo luogo, per giustificare le richieste dei gruppi di pressione militari che mirano a quadruplicare le spese della Nato in Europa. In terzo luogo, screditare tutte le forze politiche che, in Lettonia o in Europa, considerano la Russia senza pregiudizi e adottano una posizione pragmatica rispetto ad essa”.

Il secondo obiettivo – la Russia, come anche nel discorso di Stoltenberg, viene dichiarata un paese irresponsabile, pronto all'utilizzo della forza nucleare “così, tanto per fare”, senza riguardo per quello che prevede la sua dottrina militare.

Infine, il terzo obiettivo propagandistico – i politici e i militari britannici possono mostrarsi sotto una buona luce, del tipo: non permetteremo la distruzione dell'umanità e la guerra mondiale nucleare.

Il film della BBC è del cinema che in realtà è informazione. E il discorso del Segretario Generale della Nato è in realtà del cinema. Il risultato congiunto è molto semplice: la Russia appare come uno stato aggressivo irresponsabile, pronto a usare le armi nucleari alla minima provocazione o anche senza di essa.

Non che queste menzogne dolgano molto – le idee occidentali sulla Russia rappresentata come un orso, pronto a divorare qualsiasi cosa gli passi vicino, hanno già molti anni. Il problema è che, conformemente al triste pronostico di Pelevin, i politici occidentali si mettono in uno stato di agitazione incredibile, e la minima provocazione (comprese quelle organizzate da terzi) potrebbe avere delle conseguenze imprevedibili.

Se per esempio (proviamo a sognare alla maniera di Stoltenberg e della BBC) un terrorista dello Stato Islamico facesse esplodere nel centro di Stoccolma una “bomba sporca” e lasciasse sulla scena del crimine una bandiera russa e una tessera di un agente del KGB, chi può garantire che Washington, su richiesta di Stoccolma, non decida immediatamente un “colpo di rappresaglia” contro “l'aggressiva Russia”? E in questo caso, in piena conformità con la dottrina militare, la Russia non potrebbe non rispondere – e questo sarebbe la fine della civiltà umana nella forma attuale.

Bruciando tra le fiamme dell'esplosione termonucleare, i lavoratori della BBC non avranno il piacere di pensare al ruolo che avranno giocato nella loro produzione televisiva con la demonizzazione della Russia.

Fonte: http://www.vzglyad.ru/politics/2016/2/4/792337.html

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sabato 20 febbraio 2016

Perché l'Europa segue Obama e si lava le mani per la Palestina ?




di Alan Hart
 20/2/2016


Il mio titolo è una risposta ai recenti commenti fatti dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel ad una conferenza stampa congiunta a Berlino con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e la decisione del governo Cameron, nel Regno Unito, per rendere il boicottaggio delle merci dagli insediamenti  "israeliani nella Cisgiordania  occupata", da parte di organismi finanziati con fondi pubblici, tra cui le amministrazioni locali e le università, un reato penale.

Per la gioia di Netanyahu, che ha respinto una iniziativa francese di convocare una conferenza regionale per cercare di ottenere un vero processo di pace, Merkel ha detto: "Ora non è certamente il momento di fare davvero un progresso esauriente."  Ha aggiunto:

"L'Unione Europea e la Germania, come Stato membro, è molto preoccupata vedendo le cose in modo realistico. (grassetto mio). Conosciamo la minaccia del terrorismo che Israele deve sopportare. Crediamo, invece, che dobbiamo avanzare un processo di pacifica convivenza, e questo, secondo il nostro parere, si costruisce, in ultima analisi, con una soluzione a due stati."
A mio avviso le parole della Merkel sono, a dir poco, in malafede. (La mia definizione del dizionario di quel termine significa: "non franco o aperto; si atteggia a franco o aperto, furbo, subdolo.")
Se Merkel e tutti gli altri capir europei e i loro governi avessero qualche interesse a
riconoscere la realtà sul terreno in Israele / Palestina si sarebbero astenuti dal
descrivere gli attacchi da parte dei singoli palestinesi contro gli ebrei israeliani negli ultimi mesi come terrorismo.
Per qualificarsi come un atto di terrorismo un attacco deve essere motivato / spinto dalla necessità e dalla determinazione di raggiungere un obiettivo politico. Nel caso dei palestinesi, che vorrebbero la fine dell'occupazione israeliana e la garanzia di una quantità accettabile di giustizia, questa non è la motivazione o la spinta di alcuni palestinesi che hanno attaccato e a volte ucciso ebrei israeliani negli ultimi mesi. Gli attacchi erano e sono tuttora motivati / spinti dalla totale disperazione, dall'abbandono da parte dei singoli di ogni speranza di porre fine alla continua espansione e colonizzazione in corso della Cisgiordania occupata da parte di Israele in e di tutto ciò che significa in termini di furto di sempre più terra e acqua dei palestinesi e la distruzione di un numero sempre crescente di case palestinesi.
In altre parole, i singoli attacchi palestinesi contro gli ebrei israeliani negli ultimi mesi sono meglio (più esattamente) descritti come risposte comprensibili alla brutale repressione di Israele.
L’altro motivo per cui descrivo le parole di Merkel come false è che lei sa, come tutti gli altri capi europei e i loro governi sanno, che la soluzione dei due stati è morta, uccisa dalla colonizzazione israeliana della Cisgiordania tuttora  occupata.
Tutti i capi occidentali sanno pure che, anche se mettessero insieme la volontà di utilizzare la loro influenza, cercando di spingere Israele ad accettare di riesumare il concetto di una soluzione a due stati come la via per la pace, non ci potrebbe mai essere una tale soluzione al conflitto perché nessun governo israeliano darebbe inizio ad una guerra civile ebraica per fare spazio ad un possibile mini stato palestinese.

Il problema per tutti i capi europei e per il presidente americano (Obama al momento e chi gli succederà dopo le elezioni di novembre) è che essi non possono riconoscere che la soluzione a due stati è morta perché farlo li lascerebbe con solo due opzioni.
Una sarebbe quella di uno scontro con il sionismo e il suo mostruoso bambino (Israele) mostro e usare tutta la loro influenza per cercare di giungere ad una soluzione dello stato unico con uguali diritti politici, civili e altri diritti umani per tutti. (Sì, questo significherebbe la de-sionizzazione della Palestina)
L'altro sarebbe dire (come Obama ha detto più di una volta) che non possono volere la pace più delle parti in conflitto, e questa, naturalmente, sarebbe la copertura per indicare, senza dirlo, che si stanno lavando le mani della Palestina e lasciare che il destino della sua sua popolazione araba sia determinato dal sionismo.
A proposito della decisione del governo Cameron di rendere il boicottaggio delle merci israeliane, provenienti da insediamenti nella Cisgiordania occupata, da parte di enti a finanziamento pubblico un reato penale, sono d'accordo con un commento di Glenn Greenwald in un recente articolo. Cameron sta giocando, ha scritto, la sua parte in una campagna molto coordinata e ben finanziata guidata da Israele e dai suoi sostenitori a per distruggere il movimento  di boicottaggio, sanzioni e disinvestimento (BDS). (A Gerusalemme, il 15 febbraio, in occasione della conferenza annuale dei Presidenti delle Maggiori Organizzazioni Ebraiche, il generale di brigata in pensione Yossi Kuperwasser, ha descritto il BDS come "antisemitismo" e "terrorismo." Immagino che sia abbastanza deluso di considerare in entrambi i modi ogni e qualsiasi critica della politica e dei comportamenti di Israele).
Hillary Clinton, che ancora sembra la più probabile prossima presidente d'America, ha portato avanti questa campagna sionista di delegittimare e mettere fuorilegge il movimento BDS per molti mesi.
Lei e gli altri che ballano al ritmo del sionismo non sono preoccupati del fatto che essi, come Hanan Ashrawi e Saeb Erekat hanno detto in una dichiarazione dell'Olp, "perpetuano l'ingiustizia e rafforzano l’occupazione."

Ora torniamo alla dichiarazione di Merkel che l'Unione europea, e la Germania come Stato membro, è "Molto preoccupata vedendo le cose in modo realistico."
Vi è in realtà una grande e piccola verità conosciuta nascosta dietro a quelle parole. Riguarda la vera ragione per cui Israele possiede armi nucleari.
Come spiego in dettaglio nel mio libro “Il sionismo: il vero nemico degli ebrei”, quei capi israeliani che insistettero affinché tutto fosse fatto per consentire al loro stato di possedere e sviluppare armi nucleari, mai credettero che fossero necessarie per la difesa di Israele contro gli arabi.
(In realtà, Ariel Sharon fu alla testa di coloro che si opponevano a Israele per l'acquisizione di armi nucleari. A porte chiuse, sosteneva che se Israele le avesse  avute, anche gli arabi a un certo punto le avrebbero acquisite. E se ciò fosse accaduto, disse, la capacità di Israele di imporre la propria volontà agli arabi con armi convenzionali / non-nucleari sarebbe stata seriamente compromessa).
Il possesso di armi nucleari è l’ultima carta di ricatto del sionismo. Questo mi fu indicato nel 1969 da Moshe Dayan, in guercio signore della guerra di Israele. Osservò che un giorno sarebbe arrivato, quando quasi tutto il mondo, i governi e popoli, si fossero stancati di Israele e l’avrebbro sottoposto a una immensa ed, eventualmente, irresistibile pressione per porre fine alla sfida del diritto internazionale e al diniego di giustizia per i palestinesi.
Ad un certo punto dissi a Dayan, "Lei intende dire che se mai un tale giorno dovesse arrivare, i capi israeliani diranno al mondo, 'Non spingeteci troppo o useremo queste armi.' "
Dayan mi fece un grande sorriso e rispose: "Lei mi ha capito." 

(Tre giorni prima che Israele iniziasse la guerra nel giugno 1967 gli chiesi cosa, secondo lui , sarebbe successo nei giorni seguenti. Sorrise, fece un gesto con un dito per illustrare ciò che stava per dire, poi, guardando direttamente nella cinepresa, disse, "Il deserto manda dei segnali." Questo mi diceva che Israele stava attaccando. In un resoconto per ITN (Independent Television Network), la sera di Domenica 4 giugno, ipotizzai che Israele avrebbe iniziato la guerra la mattina seguente. Fu così. Ed è per questo che non ebbi alcun problema a credere

alle parole che mi disse Dayan nel 1969).

La conclusione che traggo da tutto quello che ho imparato da quasi mezzo secolo di coinvolgimento a vario titolo con il conflitto in e oltre la Palestina che è diventata Israele è che ci sono due ragioni principali per il rifiuto delle grandi potenze occidentali ad affrontare il sionismo, al fine di fornire ai palestinesi una quantità accettabile di giustizia.
Una è l'influenza (un po' in calo, ma ancora impressionante) che ha la lobby sionista in tutte le sue manifestazioni nei corridoi del potere insieme a fondi illimitati per comprare i politici.
L'altra è il timore che, se spinti oltre le loro possibilità, i capi di Israele premerebbero uno o due tasti nucleari, se necessario.
Questa paura è senza dubbio rafforzata nella mente di quei dirigenti occidentali che sono a conoscenza di ciò che il Primo Ministro Golda Meir mi disse una volta in un'intervista per il programma Panorama della BBC. Come sanno i lettori del mio libro e di uno o due dei miei post pubblicati sul blog nel corso degli anni, ha detto che in una situazione da giorno del giudizio "Israele sarebbe disposto a inghiottire con sé la regione e tutto il mondo. "
A coloro che si aggrappano alla speranza che l'Europa prenderà l'iniziativa di premere su Israele per fare seriamente la pace a condizioni che i palestinesi potrebbero accettare,  dico: Non succederà.

(Traduzione di Diego Siragusa)

mercoledì 17 febbraio 2016

Attivista italiana arrestata e detenuta nelle carceri di Tel Aviv


silvia middle


di Silvia Middle
martedì, 16 febbraio 2016
Sono carichissima, felicissima, mi sento anche bellissima, fortunatissima e tantissime altre cose che finiscono in issima perché sto per tornare in Palestina. Una settimana e tantissimi amici da abbracciare, un intero campo profughi da salutare, una laurea e un compleanno da festeggiare, un pieno di sorrisi all’asilo, incontrare finalmente degli amici che erano in carcere, poter ricevere un’importante chiamata dal carcere, insomma mi aspetta una settimana pienissima ma riuscirò a fare tutto!

E’ l’11 febbraio, salgo sul mio volo per Tel Aviv e alle 7 puntuale decolla. 4 ore di volo tra sonno e ansia da visto, perché in Israele non si è ben accetti e tanto meno si può essere liberi di andare dove si vuole ed avere gli amici che si vuole, anzi per loro la Palestina non esiste.
Atterro in anticipo alle 11.30, con il mio zainetto e un sorrisone mi metto in coda agli sportelli per richiedere il visto.
“Sei già stata qua?”
“Si” rispondo io, inutile mentire!

Da quel momento sono iniziate una serie di domande a raffica: dove sei stata le altre volte? Cosa hai fatto? Chi conosci? Conosci qualcuno in Israele? Impossibile che tu non conosca nessuno. Cosa vuoi fare qua ancora? Ormai conosci il paese non ha senso, perché vuoi rientrare?
Tono imperativo e tempi stretti che a fatica lasciavano tempo alle mie risposte che cercavano di deviare su una vacanza che sarebbe durata solo 6 giorni. SI è tenuto il mio passaporto e mi ha detto di aspettare nella stanzetta verde.

Ci sono tante altre persone, tutte dell’Europa dell’est e fermate tutte per motivi di possibile immigrazione illegale, sono l’unica Italiana. Dopo un lasso di tempo abbastanza lungo da indolenzirmi il sedere mi chiamano in un ufficio.
Bandiere israeliane giganti e un santino di Bibi, Netanyahu dietro il ragazzo del Mossad che mi interroga.
Sei ore. S E I O R E di interrogatorio.
Ha iniziato chiedendomi i motivi della mia visita, quante volte ero stata li, dove ero stata, quante notti avevo trascorso in una città e quante in un’altra, chi era entrato con me, cosa avevo fatto le volte precedenti, chi conoscevo, cosa studio e dove faccio volontariato, in che città della West Bank ero stata.
Silenzio. Lo guardo negli occhi e lui con tono carino tra un colpo di tosse e l’altro mi dice di star serena, che sa tutto perché lui lavora per il governo e fa parte della polizia segreta. Vuole che gli racconti tutto, ma tutto cosa? Io nomi non ne faccio. Mi dice in che manifestazioni sono stata, cosa ho visto, mi chiede se sono stata a delle manifestazioni per la Palestina in Italia a Milano, mi dice che ho fatto del volontariato con i profughi e allora mi chiede anche se conosco qualcuno in Siria, se voglio andare in Siria, se ho dei numeri di persone siriane, mi richiede se quindi conosco dei siriani, degli eritrei e dei nigeriani che ho conosciuto non gliene frega nulla!
Aspetto ancora. Vengo richiamata nuovamente da una ragazza in un altro ufficio questa volta.
Ripartiamo con le domande: dove sei stata? Hai amici a Nablus? Chi conosci? Cosa hai fatto? Che città della West Bank hai visitato? Poi gli ordini: dammi il tuo numero di cellulare, dammi tutte le mail, come si chiama tuo padre, come si chiama tuo nonno, dimmi i nomi delle persone che conosci.
Papà Giovanni, nonno Antonio ma io non conosco nessuno.
Di nuovo nella sala d’attesa. Il tempo passa ed inizio ad aver sonno oltre ad essere sempre più convinta che il democratico stato d’israele non mi rilascerà mai il visto anche se il ragazzo del mossad prima aveva cercato di convincermi a parlare in cambio del visto. Ha provato a farmi parlare facendo pressione psicologica, ripetendo più e più volte domande per farmi crollare e parlare, sosteneva che io avessi lanciato pietre, che io fossi sempre stata in prima fila a tutte le manifestazioni del venerdì, che io avessi urlato durante delle manifestazioni e al mio silenzio e alla mia perplessità ha deciso di dirmi:“Silvia se vuoi essere democratica tornatene in Italia qui non lo puoi essere”.
Se vuoi essere democratica?? Qui non lo puoi essere??

Io non avevo mai avuto dubbi su questo perché Israele non è una democrazia, è un regime sionista. Chiedo a voi di fare una sforzo e provare a capire che paese continuiamo a sostenere, un paese che porta avanti da anni la pulizia etnica della Palestina con il silenzio complice di molti e la voce dei sostenitori dei nostri politici.
Dopo l’ennesimo interrogatorio e l’ennesima attesa mi hanno portato in un altro ufficio, parlandomi sempre a comandi mi han detto di sedermi. Mi hanno fatto una foto, hanno preso le mie impronte dopo di che il verdetto.
SEI UN SOGGETTO PERICOLOSO PER LA SICUREZZA DI ISRAELE QUINDI ORA TORNI IN ITALIA E NON POTRAI PIU’ ENTRARE, DA QUI E DALLA GIORDANIA, PER 10 ANNI.
10 ANNI. 10 ANNI. 10 ANNI.
Dieci anni della mia vita, di amicizie, di famiglia, di amore.
Dieci anni di vita rubata, rovinata che non h daranno di certo indietro.
Dieci anni per aver gli amici dalla parte sbagliata del muro secondo Israele.

Chiedo di chiamare in Italia per avvisare e di voler sapere l’ora del mio volo: “se hai soldi nel cellulare chiama pure, il volo lo stiamo cercando”. Se hai soldi chiama pure?? Follia pura, dopo 8 ore tra interrogatori ed attese, dopo la decisione di rimpatrio non mi permettono di chiamare a casa. Urlo e guadandoli ripeto più volte “democratici”, inizia quasi a farmi ridere questa parola. Mi concedono la password del wifi.
Torno ad aspettare e mentre mi sento morire dentro provo ad avvisare mamma che risponde felice credendomi arrivata al campo circondata dalla famiglia e da infiniti abbracci.
“Mamma sono ancora in aeroporto, mi rimpatriano ma non so ancora quando.”
Odio, pianti, forza, resilienza, Bilal, Fida, Rand, tutta la famiglia e gli amici di Aida, Najah e Amal, l’asilo, Nancy, Amjad e Ahmad, Sally e Eshaq, tutti quanti mi passano davanti agli occhi pieni di rabbia mentre lo stomaco mi si chiude. Mi portano un panino e una bottiglietta d’acqua.
Aspetto, nuovamente, ormai me ne sono fatta una ragione, ma l’attesa non è essa stessa il piacere. Chiedo del mio volo e non rispondono, richiedo.
DOPO DOMANI.
Dopo domani? E che giorno è dopo domani? È lontanissimo dopo domani. Ovviamente non mi è concesso vedere il biglietto per realizzare che giorno sia dopo domani e l’ora del volo per poter avvisare in Italia, dopo mamma e amici si erano già mesi all’opera per contattare l’ambasciata e gli organi competenti.
Ed ora controllo sicurezza, mi rassicurano che in ogni caso si prenderanno cura di me mentre mi smontano lo zaino e mi controllano tutta, capelli e dita dei piedi compresi. Mi rifanno altre domande alle quali mi rifiuto di rispondere se non dicendo che dopo 6 ore di interrogatorio e un rimpatrio ero anche stufa di dover dare spiegazioni.
Il mio volo partirà il 13 febbraio alle ore 12.55 da Tel Aviv.
Sono stata portata su una camionetta insieme ad altri tre uomini nelle prigione governative dello stato israeliano all’interno del complesso dell’aeroporto.
Sbarre, filo spinato e telecamere regnano sovrane, quasi come a un check point.
Per due notti sono stata detenuta nelle prigioni governative dell’aeroporto.

Per due notti sono stata chiusa dietro delle sbarre, su un lettino dove il tempo era scandito dall’arrivo dei pasti e dalla luce del sole.
Con me solo una maglia di ricambio e una chiamata in Italia che potevo effettuare rigorosamente stando seduta sul divanetto.
Pavimenti e bagni sporchi, cibo scadente e sbarre. Con me donne dall’est Europa e dalla Mongolia. Durante la notte i poliziotti sono entrati più e più volte urlando, chiamando, sbattendo le porte, la mattina un panino per colazione e stop. Niente aria aperta, niente spazzolino prima delle otto di sera.

La mattina del 13 febbraio alle 12.30 sono stata ricaricata sulla camionetta e sono stata accompagnata all’aereo e scortata sino al mio posto.
Mi hanno deportata. Proprio così mi hanno chiamata, deportata, anche se poi non avevo la polizia a farmi la scorta sul volo, risultando così un soggetto indesiderato da rimpatriare; in compenso in Italia c’era la polizia ad accogliermi sul ciglio della porta dell’aereo che confusa dal fatto che fossi italiana e che non aveva senso che mi scortasse mi ha lasciata prendere il pullman come tutti gli altri passeggeri.

Tutto questo per cosa? Perché ho amici dalla parte sbagliata del muro secondo israele, perché sono un soggetto pericoloso, perché ho visto delle manifestazioni, perché sono stata in West Bank, perché per me la Palestina esiste e credo nella sua lotta, perché credo nei diritti umani e non nel sionismo.
Due giorni di detenzione, il rimpatrio/deportazione e 10 anni di ingresso negati. Un vita rovinata.
E le autorità italiane? Niente, non fanno niente.

Hanno le mani legate, dicono, Israele è più forte e comanda e così non ci tutelano, non come dovrebbero nonostante il diritto internazionale continui ad essere violato.
Ora, fino a che erano i miei amici palestinesi trovate delle scuse ed ora, come giustificate??
La mia vita è rovinata, distrutta ma ora lotterò più di prima, me lo hanno insegnato loro, me lo sono tatuata “lottare fino alla vittoria”, lo devo a loro anche se per ora è difficile mettere insieme i pezzi.
#FREEPALESTINE #ISRAHELL #IWILLCOMEBACK #ENTERYDENIED

Fonte: Il Canturino News